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martedì, 28 Marzo 2023
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Trent’anni dalle Stragi, Scarpinato: “Silenzi e omertà. Lo Stato non vuole la verità”

Una ricostruzione giudiziaria e storica sulla strage del '92 che vide l'uccisione di Paolo Borsellino. Parla l'ex procuratore generale di Palermo: "Ormai prossima la riforma legislativa che consente ai boss libertà e benefici"

Lilia Ricca
Lilia Ricca
Giornalista pubblicista, laureata in Comunicazione per le Culture e le Arti all'Università degli Studi di Palermo, con un master in Editoria e Produzione Musicale all'Università IULM di Milano. Si occupa di cultura, turismo e spettacoli per diverse testate online e da addetto stampa. Scrive di sociale per "Il Mediterraneo 24"

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PALERMO. A 30 anni dalle Stragi di Capaci e via D’Amelio, la ricerca della verità su quei delitti va avanti ancora oggi. Ci sono state inchieste e processi ma sono tante ancora le domande che attendono risposta. Tra gli interrogativi più importanti c’è il progetto della strage di via d’Amelio e l’accelerazione che ha portato all’uccisione di Paolo Borsellino dopo 57 giorni dal giudice Falcone.

“L’Italia è incapace di affrontare la verità”, dichiara Roberto Scarpinato. Perchè è così difficile cercarla? A rispondere è l’ex procuratore generale di Palermo, nel corso di un evento dedicato all’antimafia organizzato dalla redazione di ANTIMAFIADuemila, a Villa Filippina, in occasione dei 30 anni dalle Stragi.

A distanza di una settimana dal sesto processo sulle Stragi, a 30 anni dalla strage di Via D’Amelio, c’è un interrogativo che dobbiamo porci con più forza su tutti gli altri, dichiara l’ex procuratore: Riusciremo mai ad avere una completa verità giudiziaria sulla strage di via D’Amelio? Una verità che vada oltre il livello degli esecutori materiali e dia un volto ai mandanti e ai complici esterni? Se dobbiamo essere realistici, alla luce degli ultimi eventi, la mia risposta è no. Per ragioni di sistema. Per ragioni che attengono al potere in Italia”.

L’ex procuratore Roberto Scarpinato durante l’evento di ANTIMAFIADuemila a Villa Filippina (foto di Massimo Torcivia)

Quel potere che non ha mai consentito la processabilità e la condanna dei mandanti, dei complici esterni di tutte le stragi che hanno segnato la storia della prima Repubblica.

“Una storia tenuta a battesimo da una strage politico mafiosa, quella del primo maggio 1947 di Portella della Ginestra, conclusasi nel bagno di sangue delle stragi politico mafiose del 1992 e 1993. Tra queste una sequenza ininterrotta di attentati che non eguali in nessuna storia europea – continua l’ex procuratore. Una storia di stragi e di eterna sconfitta della giurisdizione che non è mai riuscita ad andare oltre il livello degli esecutori materiali. In alcuni casi ha fallito pure questo compito elementare come accaduto per la strage di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969: 17 morti e 88 feriti senza giustizia. Nessun colpevole“.

I DEPISTAGGI NELLA STORIA ITALIANA. UN CICLO SENZA FINE

La considerazione di Scarpinato è che a volte “indagini che riguardano le stragi italiane sono state sistematicamente sabotate e depistate da esponenti degli apparati statali”. “Circostanza che non mi stanco di ripetere: è accertata da una serie di condanne definitive dei vertici dei servizi segreti della Polizia condannati per depistaggio. Ricordiamo che per la strage di Milano della Banca dell’Agricoltura del 1969 sono stati condannati con sentenza definitiva per avere depistato le indagini, due vertici dei servizi segreti, il generale Maletti e il capitano La Bruna”, spiega Scarpinato.

Per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 sono stati condannati con sentenza definitiva del 1992 per depistaggio, il generale Dino Minganelli e il colonnello Antonino Chirico. Per la strage di Brescia del 28 maggio del 1974 “è stato accertato che i servizi segreti avevano nascosto alla magistratura, per 40 anni, che uno dei soggetti condannati per la strage, Maurizio Tramonte, era stato un collaboratore dei servizi segreti”.

Per le indagini sulla strage di Bologna del 1980 sono stati condannati con sentenza definitiva per avere depistato le indagini, due vertici dei servizi segreti, il generale Musumeci, il colonnello dei Carabinieri Belmonte, l’agente segreto Pazienza.

Continua così l’ex procuratore: Non è casuale che nelle indagini per le stragi del 1992 e del 1993 sia stato replicato tutto il vasto repertorio dei depistaggi che è stato sperimentato nelle indagini sulle stragi degli anni ’70 e ’80. Dalla sottrazione di documenti essenziali alla creazione di falsi collaboratori, all’eliminazione di soggetti che erano a conoscenza di segreti scottanti e stavano per iniziare a collaborare”.