PALERMO. È stata intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, l’Aula Bunker del carcere Ucciardone, che 35 anni fa ospitò il Maxi-Processo alla mafia di Cosa Nostra. Iniziata nel primo pomeriggio, la cerimonia si è svolta alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Seduti al suo fianco, il neo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il neo presidente della Regione Renato Schifani.
Un momento solenne che chiude le cerimonie del trentennale delle Stragi che videro la morte dei due magistrati, che ebbero un ruolo fondamentale nell’istruttoria di un dibattimento che 35 anni fa rappresentò con 19 ergastoli e 2.600 anni di condanne, uno storico colpo dello Stato alla mafia di Cosa Nostra.
Tra i presenti anche il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e l’arcivescovo di Palermo monsignor Corrado Lorefice. Presenti oltre a magistrati e politici, i familiari delle vittime di mafia, Lucia e Manfredi Borsellino, figli di Paolo, e Maria Falcone, sorella di Giovanni.
É stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, a ricordare cosa rappresentò il Maxi-Processo:
“Il tributo che oggi dedichiamo in questa solenne cerimonia non è soltanto un riverente ossequio alla memoria di due eroici magistrati. Esso riassume un riconoscente sentimento dell’intera nazione nei confronti di tutti i servitori dello Stato che cadono per mano della criminalità organizzata e dei terroristi, nell’adempimento del dovere.
Quando la speranza nella convivenza civile sembrava svanire e quando restava soltanto la carità a consolare le nostre ferite, Falcone e Borsellino seppero ridare questa fede e questa speranza. Se oggi siamo qui, a riaffermare la presenza dello Stato, per la lotta al crimine, lo dobbiamo anche a loro, e soprattutto a loro.
Falcone e Borsellino erano stati chiamati all’ufficio Istruzione di Palermo agli inizi degli anni ‘80 da Rocco Chinnici che, poco dopo, sarebbe stato ucciso in un attentato con un’autobomba. Costituirono il primo pool di magistrati investito dal compito di indagare i mafiosi con criteri nuovi, ispirati al coordinamento e a una lungimiranza strategica, nella convinzione che la tradizionale delinquenza isolana si stava organizzando con criteri professionali e gerarchie definite, insinuandosi nei rapporti tra malavita e finanza e tra quest’ultima e la politica.
I due indagarono in Europa e oltreoceano, acquisirono documenti riservati e conti bancari e soprattutto ascoltarono vari pentiti distinguendo abilmente quelli veri da quelli falsi. Fu un lavoro monumentale ma, quando nel febbraio del 1986, i 460 imputati vennero portati alle sbarre, le prove erano solide. E il 16 dicembre 1987 dopo decine di udienze e 36 giorni di camera di consiglio, la Corte di Assise di Palermo irrogò una serie di condanne severe.
Per la prima volta nella storia del Paese, Cosa Nostra era stata decapitata con la sola forza del Diritto e nel rispetto della legalità costituzionale. Questo successo, come talvolta accade, fu seguito da polemiche corrosive. Falcone e Borsellino erano magistrati svincolati da ogni parrocchia ideologica e motivati esclusivamente dal rispetto della legge. Ed è doloroso ricordare che proprio da una parte della magistratura furono formulate nei confronti di Falcone, delle critiche e delle insinuazioni che, ne addolorarono l’ultimo periodo di vita.
Egli, tuttavia, non si arrese ed elaborò il progetto di una struttura unica, con competenza nazionale per indagare sull’invadenza mafiosa. Purtroppo, non fu lui ad esserne il primo reggitore. Sopportò questa umiliazione con la virtù dei forti e l’ironia degli intelligenti. Quando fu chiesto a Giovanni Falcone se avesse paura lui rispose che: “i vivi muoiono più volte al giorno, i coraggiosi muoiono una volta sola”. È una frase molto bella che appare nei frontespizi dei vari libri che gli sono stati dedicati e come tutti sanno è stata tratta dal ‘Giulio Cesare’ di William Shakespeare.
A lui e a Paolo Borsellino vorremmo dedicare le parole che lo stesso grande drammaturgo inglese attribuì a Enrico V prima della battaglia di Agincourt: ‘Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte. I vecchi dimenticano ma, chi ha combattuto con noi e sopravviverà a questa battaglia, mostrerà con orgoglio le sue ferite. E noi, noi pochi, noi pochi felici, saremo ricordati per sempre’.
Ecco, i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino saranno ricordati per sempre per aver servito il loro paese con professionalità e tenacia. Il loro valore, l’impegno dello Stato nella lotta contro la criminalità, non verrà meno, e sarà potenziato nella qualità del personale e nell’efficienza delle strutture. Ma al di sopra delle risorse umane e finanziarie dovrà sempre illuminarci come forza ispiratrice il coraggio di questi due magistrati, perché, come ci insegnava Tucidide: “la felicità è libertà, e la libertà è coraggio”.