22 C
Palermo
giovedì, 19 Giugno 2025
HomeSpeciali"Curarsi in Sicilia": allo studio strategie per ridurre le attese

“Curarsi in Sicilia”: allo studio strategie per ridurre le attese

L'inziativa promossa da InSanitas ha toccato anche il tema della denatalità nell'Isola: focus sulla Procreazione medicalmente assistita

spot_img
spot_img

di Salvo Di Stefano
PALERMO

“La cattiva sanità fa notizia, ma ci siamo dimenticati del ruolo dei medici?”. Questo è il primo punto di cui si è parlato durante la seconda edizione di “Curarsi in Sicilia”, l’inziativa promossa da InSanitas. tenutasi stamane presso la sala Piersanti Mattarella del Palazzo dei Normanni.
Di fronte a questo quesito i professionisti che hanno partecipato alla prima parte di questa seconda edizione hanno espresso un pensiero comune: i medici non sono cambiati, non sono meno bravi di prima. Tra gli intervenuti, Salvatore Iacolino, dirigente generale pianificazione strategica; Alessandro Pitruzzella, presidente dell’Ordine dei Biologi della Sicilia; Carolina Varchi, deputata nazionale; Giacomo Scalzo, Dirigente Generale del DASOE, Assessorato Regionale della Salute; Giuseppe Laccoto, Presidente Commissione Salute dell’ARS; Toti Amato, Presidente dell’OMCeO Palermo; Giovanni Ruvolo, Embriologo; Adolfo Allegra, Direttore Clinica Andros di Palermo; l’assessore comunale Mimma Calabró, in rappresentanza del sindaco di Palermo.

Le lunghe liste d’attesa

Durante la pandemia di Covid-19 erano considerati degli eroi, in quanto mettevano la loro vita a disposizione per salvare quella degli altri, oggi invece sono vittime di aggressioni. Viviamo in un mondo diverso, cambiato. Ancor prima di denunciare le aggressioni subite dai medici, bisogna risolvere il problema della violenza presente nei territori. Non si può adottare un’unica soluzione per problemi diversi, occorre dare informazioni e fare una comunicazione corretta, basandosi soprattutto sulle competenze. Come è giusto che sia, bisogna valutare le esigenze della popolazione per poterla aiutare e fornirle delle soluzioni. Una di queste potrebbe essere la creazione di una rete di relazioni, attraverso le quali, a chi deve fare una visita, viene spiegato cosa e come fare, per poi essere indirizzato sui luoghi in cui deve andare.

“Curarsi in Sicilia” è un programma che cerca di contrastare l’emigrazione sanitaria attraverso il miglioramento delle strutture ospedaliere siciliane e garantendo il diritto alla salute. Tuttavia uno dei motivi principali per cui le persone sono costrette ad emigrare è la lunghezza delle liste di attesa. Infatti, chi deve fare una visita e la vuole prenotare in una struttura pubblica deve aspettare mesi e mesi, mentre se contatta una struttura privata gli viene trovato spazio nel giro di pochi giorni. Migliorare le liste d’attesa non deve essere solo un obiettivo politico, ma un modo per venire incontro alle esigenze dei cittadini. Quando il paziente viene preso in carico deve essere la parte pubblica a indirizzarlo, così da evitare il caos delle liste.

La denatalità in Sicilia

Durante la seconda fase, nel convegno moderato dalla giornalista Giada Giaquinta, ci si è concentrati sulla denatalità e sul calo demografico. Diversi sono stati gli esperti che sono intervenuti riguardo questo tema. Il primo su tutti è stato Pasquale Cananzi, Responsabile del settore farmaceutico del Dipartimento Pianificazione e Strategia dell’Assessorato Regionale della Salute. Il suo intervento è servito soprattutto per mettere in evidenza come la Sicilia sia tra le prime regioni in Italia a investire il suo denaro sulle spese farmaceutiche, e a istituire un fondo bancario per i farmaci innovativi.
Tra le tecniche innovative troviamo la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) e della sua regolamentazione ne ha parlato l’avvocato Giuseppe Di Rosa, dicendo che, secondo la legge 40/2004, l’accesso alle nuove tecniche di fecondazione è dedicato a persone sterili o infertili, e portatrici di malattie patologiche, il cui stato è certificato da un atto medico. Coloro che possono accedervi sono soprattutto coppie eterosessuali composte da maggiorenni, sposate o conviventi. Di Rosa ci tiene a sottolineare come questa non sia una normativa statica, ma è condizionata da usi e costumi e, soprattutto, dalle innovazioni tecnologiche. Dei temi della denatalità e del calo demografico ne hanno parlato, in senso stretto, prima Maria Letizia Di Liberti (Dirigente Generale del Dipartimento Famiglia e Politiche Sociali dell’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro) e poi il dottore Antonino Guglielmino (Responsabile centro UMR/HERA di Catania).
La dirigente generale, durante il suo intervento, ha voluto sottolineare il fatto che le famiglie non fanno più figli a causa delle criticità sociali, come, per esempio, la mancanza di strutture dove i bambini possono stare mentre i genitori sono a lavoro. In tal senso ha parlato dei finanziamenti che sono stati stanziati dall’assessorato regionale per la creazione di centri per minori, dove sono possibili tutte quelle attività di svago dedicate ai bambini, come per esempio gli asili nido e i grest nei centri sociali, i quali permettono alle famiglie di affidarsi a loro nel momento in cui ne hanno di bisogno.
Un altro aspetto messo in evidenza dalla dirigente Di Liberti è la mancanza di posti di lavoro. “Di fatto vengono investiti tanti soldi sulla formazione dei giovani, dunque bisogna dare loro anche la possibilità di restare a lavorare e a mettere su famiglia qui, piuttosto che emigrare. Stiamo pensando anche a dei progetti per far rientrare i cervelli. Non siamo sicuri di invertire la rotta in pochi anni, ma siamo sicuri che l’impatto sarà positivo”.

Sul tema del calo demografico, come detto, è intervenuto il dottor Giovanni Guglielmino. “Il calo demografico è una disgrazia o un fenomeno? Lo sconvolgimento demografico si è verificato negli ultimi 150 anni. Siamo sicuri che il calo demografico sia un danno? Non dobbiamo pensare al tasso di natalità come al PIL, non deve sempre aumentare, anche a costo di vivere delle catastrofi. L’aumento delle nascite porta l’uomo a cercare nuovi spazi e a procurarsi una crescente quantità di cibo, ciò determina un altro tipo di aumento: la percentuale di inquinamento nel mondo. Non è vero che nel mondo siamo di meno. Esistono delle zone, anche meno sviluppate di noi, dove il tasso di natalità è in costante crescita. Ciò che succede a noi è una diminuzione di nascite dovuta al mantenimento degli anziani; infatti far crescere un bimbo è tanto dispendioso quanto mantenere in vita un anziano. Il problema è che stiamo diventando vecchi. Prima a 28 anni le famiglie erano già piene di figli, oggi invece il primo figlio si fa a 32 anni. Più anziani ci sono meno posti occupati ci sono, per questo ogni anno viene aumentata la soglia minima per la pensione, perché non c’è disponibilità per il lavoro, non ci sono giovani.” Sulla stessa linea di pensiero interviene il dottor Giovanni Bracchitta (Direttore U.O. Fisiopatologia della Riproduzione Umana Clinica del Mediterraneo di Ragusa), che ha sottolineato come il tasso di sostituzione oggi si trova al 2,1%. Un altro aspetto di cui parla è il fatto che una donna raggiunge la sua massima fertilità intorno ai 20 anni, mentre a partire dai 35 inizia un drastico calo, proprio quando, in generale, si ha più probabilità di trovare un lavoro stabile che permette di costruire una famiglia. L’infertilità di una donna dipende da diversi fattori, come per esempio: consumo di alcol, fumo, obesità, stile di vita. Egli ritiene che il PMA non è solo una prestazione sanitaria, ma è una risposta concreta alla richiesta di genitorialità.

spot_img

Leggi anche

spot_img
spot_img

Ultime notizie

spot_img

Twitter

spot_img