di Laura Stallone
psicologa del Centro di Accoglienza Padre Nostro
C’è un filo che attraversa silenziosamente le nostre città, le scuole, i cortili e le strade: quello dell’emergenza educativa. È un fenomeno che non nasce oggi, ma che oggi assume tratti più sottili, più difficili da riconoscere. Non si manifesta soltanto nelle povertà materiali o nell’abbandono scolastico, ma nello smarrimento profondo degli adulti e nel disorientamento dei bambini e dei giovani, lasciati spesso senza punti di riferimento solidi.
Padre Pino Puglisi, più di trent’anni fa, fondando il Centro di Accoglienza Padre Nostro, aveva già intuito che la vera emergenza non era solo sociale ma spirituale ed educativa. Egli sognava un luogo capace di curare “le ferite dell’anima” dei più piccoli, quelle che non si vedono ma che segnano per sempre: la mancanza di fiducia, di affetto, di modelli positivi.
Oggi quelle ferite non sono scomparse. Si sono solo trasformate. Viviamo in una società in cui, come ha scritto Antonio Scurati, “gli adulti si infantilizzano e i bambini sono sempre più prematuri”, dove i confini tra realtà e finzione, tra politica e spettacolo, si confondono ogni giorno di più.
In questo scenario, il compito educativo sembra svuotato di senso: educare appare quasi un atto di resistenza.

Ma è proprio in tempi come questi che diventa urgente “tenere la posizione”.
Non nel senso di arroccarsi o chiudersi, ma di rimanere saldi nei valori e nella responsabilità che ogni adulto ha nei confronti delle nuove generazioni.
Essere educatori — che si tratti di genitori, insegnanti, operatori sociali o semplicemente di cittadini — significa ancora esserci, non delegare, non voltarsi dall’altra parte.
Padre Puglisi lo diceva con una semplicità disarmante: “Dobbiamo riuscire a far capire ai bambini perché esistono, per che cosa vivono, ma senza fare discorsi filosofici. Il bambino capirà i gesti che si faranno: il gioco, la convivenza, intesi come modelli di comportamento”.
In queste parole si racchiude tutta l’attualità della sua visione: educare non è spiegare, ma testimoniare.
Ecco allora la sfida del nostro tempo: ricostruire una presenza adulta credibile, capace di abitare le fragilità, di accogliere le domande, di accompagnare i più piccoli nel difficile mestiere di crescere.
Presenza, nel senso più pieno del termine: “essere al cospetto di”, condividere il tempo e il luogo della vita dei ragazzi, non osservarli da lontano.
Non basta parlare di “emergenza minori” come di una categoria sociologica. Occorre guardare in faccia l’emergenza degli adulti, quella incapacità di orientare, di credere, di sperare.
“Tenere la posizione”, oggi, significa questo: restare umani, testimoni credibili, in un tempo che smarrisce la misura e l’essenziale.
Significa, come faceva don Pino, continuare a credere che ogni bambino, ogni ragazzo, ogni vita, meriti un luogo dove sentirsi accolto, ascoltato e amato.







