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domenica, 1 Giugno 2025
SpecialiQuando il welfare non cura. Così non si è evitata la morte della piccola Elena

Quando il welfare non cura. Così non si è evitata la morte della piccola Elena

La tragica uccisione della bambina di Mascalucia, per mano della madre, accende una riflessione sull'esigenza di una rete forte di assistenza e di aiuti per le persone fragili. Quella attuale, invece, presenta tante lacune

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di Josette Mangione
assistente sociale

Qualunque sia la natura del gesto compiuto dalla madre della piccola Elena, per cui gli inquirenti attualmente stanno compiendo le dovute indagini, nella maggior parte di noi si è scatenata un’esplosione di sensazioni. Dallo sgomento alla rabbia, fino al più probabile e banale orrore.

Nei vari social si leggono frasi di ogni genere. Tendenzialmente tutti quei post sembrano avere lo stesso ritornello “è innaturale” (vero), “inspiegabile che una madre arrivi a compiere un gesto simile”, altrettanto vero, o quasi.

Sì quasi, perché di spiegazioni, a mente lucida, ce ne sono un’infinità. Ovviamente nessuna assolve dall’aver strappato alla vita un’anima innocente, piccola, pura, la cui unica colpa è quella di essersi trovata con le persone sbagliate, probabilmente nel momento sbagliato. Quello che vogliamo fare con quest’articolo è provare a sviluppare una riflessione che vada aldilà del sentimento, per quanto forte esso sia.

Un po’ tutti abbiamo ascoltato le storie dei nostri nonni e qualcuno di essi sicuramente ci avrà raccontato pezzi di vita, di storia fatti di “picciriddi” e balie, donne non di famiglia che si affiancavano alle madri soprattutto nel primo periodo del parto. Sì, poiché esse non erano soltanto un aiuto pratico per la gestante quando i mariti, in un’epoca in cui la paternità era considerata più un dovere imposto dalla società che un bellissimo diritto, ma erano delle vere e proprie sorveglianti delle donne che alla gravidanza potevano reagire con gesti inconsulti. Gesti a cui oggi diamo un nome scientifico “baby blues”, depressione post partum, persino psicosi. Per rendere l’idea di quanto fosse, e in alcuni paesi sia, importante la figura della nutrice o della puerpera, basti pensare che nel diritto islamico la parentela cosiddetta “di latte” è sullo stesso piano della parentela di sangue. Nei popoli africani che conservano ancora oggi le tradizioni più ancestrali, da noi considerati, ingiustificatamente, culturalmente arretrati, quando viene alla luce un nuovo elemento della tribù, oltre alla madre, non è nemmeno una singola persona a prendersene cura, ma l’intero villaggio.

Oggi questa vicinanza, per svariate ragioni, sembra essersi persa. Sia perchè oggi giorno per poter sbarcare il lunario tutti i componenti del nucleo familiare sono chiamati a doversi dar da fare, sia perchè il valore che si dà al tempo a noi concesso, sembra essersi assottigliato e con esso le priorità dei nostri giorni. 

Ma, non è questo il reale problema, almeno da questa responsabilità vorremmo scagionarci tutti perché ognuno per poter sopravvivere fa quello che può.

Il fatto è che aspetti di vita come questi, sempre che si voglia continuare a parlare nei vari salotti politici di “‘benessere dei cittadini”, che non tutto può sempre e comunque essere affrontato senza una reale e solida pianificazione. Nella nostra Terra, a parte rarissime eccezioni perlopiù provenienti dalle aziende sanitarie private e pertanto non alla portata di tutti, non c’è uno sguardo lungimirante ai servizi della persona. La sanità pubblica fatta di infinite prenotazioni, macchinari fuori uso, e scarso personale costretto a compiere turni di lavoro disumani, il sociale sempre più mortificato per l’assenza di risorse: volontari che per quanto armati di tantissima buona volontà non hanno le competenze per affrontare alcune situazioni e fanno del loro meglio, operatori e strutture malpagate che stentano ad andare avanti, una scuola oberata di burocrazia e risultati numerici che è priva dell’adeguato numero di operatori psicopedagoci che abbiano il giusto tempo da dedicare a situazioni di difficoltà dei minori e delle loro famiglie.

Un Welfare negato il nostro, vilipeso, offeso che fa acqua da tutte le parti. Qualcuno si è chiesto se la responsabilità di un gesto così estremo venga dalla sofferenza dovuta alla mancanza di uno o più di questi aspetti? Dall’essere lasciati soli, dalla frustrazione che si prova a dover affrontare tutto in autonomia anche quando non si hanno le forze? Come ad esempio l’abbandono di un coniuge, la mancanza di dignità lavorativa che ha schiacciato le ambizioni, di una disabilità mentale non curata e probabilmente mai diagnosticata?

Il fatto è sempre uno però. Che quegli innocenti occhi hanno conosciuto troppo presto, e alla fine del proprio respiro, il vero volto della sofferenza umana. E tutti noi ne abbiamo colpa. 

Nessuno giudichi, nessuno tocchi Caino.

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