PALERMO. Con gli occhi pieni di luce e un gran bel sorriso Karidja Diabate mi accoglie per raccontarmi, piena di gioia, che si è laureata in servizio sociale. “La mia tesi la dedico a mia figlia Anastasia e a tutte le donne migranti che hanno trasformato il dolore in dignità. La mia, è una laurea comunitaria per tutto l’aiuto amorevole che, in questi anni, tante persone mi hanno donato”. Karidja Diabate, ha 39 anni ed è originaria della Costa d’Avorio. Nonostante la sua storia sia piena di dolore, oggi, Karidja ha saputo trasformare la sua sofferenza in rinascita diventando un modello di resistenza e di speranza per ogni persona.
Nel gennaio 2017, in pieno inverno, è arrivata dalla Libia a Lampedusa in condizioni di salute molto gravi perchè era incinta di Anastasia. “Essendo incinta, stavo malissimo perchè il viaggio era stato durissimo – racconta -. Mi hanno portata in ospedale a Palermo dove è nata la bambina, molto prematura di solo 32 settimane di gestazione. Oggi Anastasia ha 8 anni ed è piena di voglia di vivere”. Dopo il ricovero in ospedale, l’accoglienza presso la comunità di laici comboniani de La Zattera è stata l’inizio di una vita nuova. “All’inizio ero confusa, disorientata perchè mi sentivo sola e avevo molta paura – racconta -. A poco a poco, però, grazie al calore e all’affetto di Dorotea, Toni, Maria e di tutta la comunità ho trovato una famiglia che mi ha accompagnato e si è presa cura di noi”.
Karidja dopo qualche tempo, matura il forte desiderio di donare agli altri tutto l’amore e la solidarietà che ha ricevuto. “E’ nato il desiderio di aiutare le donne migranti in difficoltà con lo stesso calore con cui sono stata accolta, abbracciata, ascoltata e voluta bene io – continua -. Così, ho iniziato a lavorare nell’ascolto dei migranti, come facilitatrice culturale, nel progetto In gioco. Poi, successivamente, mi sono dedicata alle donne del progetto Maddalena, alcune vittime di tratta”.
“La decisione di studiare per diventare assistente sociale mi è nata grazie agli stimoli del prof. Emanuele Villa, deceduto nel 2022, che mi ha fatto capire l’importanza del percorso universitario. All’inizio avevo provato i test di ingresso ad UniPa che però non superai. Nel frattempo, avevo avviato, con l’aiuto di mia sorella, il lungo e tortuoso processo di convalida del diploma preso nel mio Paese che è avvenuto dopo ben due anni. Dopo diverse difficoltà, grazie a Maria Montana de La Zattera e ad Anna Cullotta della Caritas ho iniziato il mio percorso universitario alla Lumsa. Per tre anni, ho studiato, spesso, la notte perchè di giorno lavoravo”. Il titolo della sua tesi è “Dal viaggio identitario alla ricostruzione di un progetto di vita nel Paese di arrivo”. “La laurea è stato il risultato di tante persone che mi hanno aiutato, anche, dedicandosi ad Anastasia quando dovevo frequentare o sostenere gli esami. Un grazie immenso va a tutti coloro che mi hanno sostenuta economicamente, fisicamente, moralmente e spiritualmente”.
Ciò che, però, fin da subito, le ha dato la forza straordinaria di andare avanti è stata la presenza della sua bambina. “Anastasia è una bambina molto vivace. Lei è tutta la mia vita e il mio mondo. Grazie a lei ho avuto la forza e la speranza che mi ha spinto a non scoraggiarmi. A scuola ha raccontato la nostra storia senza vergognarsi. A lei non ho mai nascosto nulla e per questo è una bambina molto forte”. Il viaggio per arrivare in Italia è stato lungo e pieno di sofferenze: partita dalla Costa d’Avorio ha attraversato il Mali, l’Algeria, la Tunisia e infine la Libia. Kadija ha diverse cicatrici nel corpo che sono i segni di alcune violenze subite. ”Non ho lasciato il mio Paese perchè mi piaceva l’Europa. Io sono scappata da un uomo che mi aveva comprato in sposa e mi maltrattava. Dopo essere scappata, ho studiato per diplomarmi facendo i corsi serali. Un giorno, quando lo zio che mi aveva venduta, era riuscito a trovarmi, allora ho deciso, per salvare la mia vita, di lasciare il mio lavoro e tutta la mia vita nel mio Paese. In Libia è stato durissimo perchè sono stata imprigionata e maltrattata. Alla fine, un giorno, un libico ci ha fatti scappare. Di notte ci siamo messi in barca, in pieno buio senza sapere nuotare”. “La scrittura della tesi è stata per me liberatoria perchè ho fatto pace con il mio passato e spero di dedicarmi come assistente sociale a chi soffre. Grazie a Dio, l’amore che continuo a ricevere ha curato le mie ferite diventando per me un cammino rigenerativo. Oggi, cerco di aiutare altre donne senza farle scoraggiare, nonostante, purtroppo, le leggi non ci aiutano. Spero che questo risultato possa spingere altre donne ad andare avanti con la forza e la dignità che meritano”.







