Sono tornata dalla Tunisia esattamente 19 giorni fa dopo sei mesi. Sono stata lì per il programma Doppio Titolo proposto dalla facoltà di Cooperazione, Sviluppo e Migrazioni dell’Università degli Studi di Palermo. Grazie a questo master in Relazioni Internazionali presso l’Università El Manar, ho avuto l’opportunità di conoscere Tunisi in tutte le sue sfaccettature come il suo sistema universitario, ma non solo. Mi ha permesso di comprendere come si vive in un contesto contemporaneamente simile e diverso dal nostro.
Sebbene sia il Paese dell’Africa più vicino alla Sicilia e si collochi comunque sulla nostra stessa distesa d’acqua, spesso ci si sente tremendamente lontani.
Ho vissuto la capitale nella sua interezza, nelle sue mancanze e nella sua impareggiabile bellezza fatta di colori e profumi inconfondibili. Purtroppo per ragioni ben precise io e le mie compagne di viaggio non ci siamo spostate alla scoperta dei luoghi mozzafiato che la Tunisia offre e me ne rammarico. Ma non si può tornare indietro, e forse, per quello che sto per raccontare, credo sia più giusto così.
Tunisi sta attraversando un periodo decisamente complesso e uno dei motivi è legato alla crisi sia politica che alimentare che la stanno logorando nel profondo. Chiunque capisse la mia nazionalità, mi chiedeva costantemente la ragione per cui fossi lì e se fosse addirittura necessario rimanere per tutto il tempo previsto dal bando che vinsi mesi fa. Ricordo ancora un pomeriggio di gennaio in cui mi trovavo in uno di quei chioschetti in ogni angolo di strada (sono in grado di salvarti la vita, vendono qualsiasi cosa lì). Chiamai la mia coinquilina per chiederle cosa volesse e al termine della telefonata, sentii: “Italia? Scappa, la Tunisia non è più quella di un tempo”. A dirmelo era un uomo che lavorava lì che mi spiegò col cuore in mano quanto la Rivoluzione del 2011 avesse cambiato a tratti in modo irreversibile il Paese. A Tunisi non cucini ciò che vuoi, ma ciò di cui supermercati e botteghe dispongono. Non so se per creatività o istinto di sopravvivenza, ma ho piacevolmente notato di essere migliorata in cucina: sicuramente un punto a favore. La scelta non era ampia, tuttavia ci sono ricette interessanti che ho deciso di seguire, alcune di queste un po’ più speziate.
Nonostante ci sia una quantità considerevole di centri commerciali e dunque di supermercati, bisogna prestare la dovuta attenzione perché alcuni alimenti spariscono dal commercio oppure sono scarti che non dovrebbero neanche essere venduti.
Il primo giorno a Tunisi c’era caldissimo e mancavano acqua, zucchero, riso, latte e farina. Mi hanno colpito molto le confezioni contenenti quaranta uova. Nel corso dei mesi questi prodotti a dir poco essenziali sono tornati sugli scaffali, tranne lo zucchero perché razionato. Quando mi chiedono perché adesso bevo il caffè amaro, mi piace rispondere che tra la stevia e il nulla, ho preferito il nulla.
Per non parlare dei tassisti con lo sguardo sulla strada e il cuore verso l’Italia. Lì è impossibile muoversi a piedi: la città è sconfinata e ogni quartiere è collegato da strade immense e impercorribili se non con la macchina. Quindi “viaggiando” ogni giorno, ho conosciuto le storie di svariati tassisti il cui percorso era dettato dalle applicazioni come Bolt, Indrive e Heetch e spesso non riuscivano a trovare un loro equilibrio; tutti le utilizzano per muoversi e le richieste si accavallavano. Ricordo ancora un tassista che con estrema tristezza mi disse: “Prima qui era bello, un posto felice. La Medina e il centro sono bellissimi, ma non dopo le 17“. Lo rassicuro perché quelle zone soprattutto da sola le ho sempre evitate dopo un certo orario. “Ci vado sempre a pranzo. Giro tra le ceramiche, le spezie, il tempo del cous cous e vado a casa”. Sono tornata in Italia e ammetto che quell’atmosfera un po’ mi manca, ma a rinfrescarmi la memoria sono gli innumerevoli souvenir caratteristici che ho acquistato in questi sei mesi e ne vado molto fiera.
La barriera più pressante è quella linguistica se non si è adeguatamente preparati. A Tunisi parlano principalmente dialetto tunisino e francese; il mio aspetto inganna quindi è capitato che iniziassero una conversazione con me in arabo, per poi sfociare in un timido francese che ha acquisito sicurezza mio malgrado soltanto negli ultimi due mesi, grazie a un secondo corso che ho seguito. Durante la prima lezione l’insegnante ci chiese la motivazione che ci ha portato ad iscriverci e quasi tutte le presenti (la maggior parte donne) risposero di voler andare in Canada o in Francia per lavoro perché lì “l’aria è diversa”. Lì nulla è statico, ma ci sono sguardi e momenti che non hanno bisogno di traduzioni e ogni posto può essere casa perché alcuni gesti restano universali. Anche i muri in pietra apparentemente più resistenti si trasformano in sabbia e credo che sia uno degli insegnamenti più preziosi che quest’esperienza potesse conferirmi.