“Le onde erano alte, la barca era estremamente sovraccarica e l’acqua stava entrando. Ho pensato ‘questa è la fine’. Abbiamo tagliato le bottiglie di plastica e iniziato a togliere l’acqua dalla barca. E poi ci avete trovato”. Le parole sono di M., nome di fantasia per proteggere la sua sicurezza. Con la moglie e i suoi due bambini è stato salvato nei giorni scorsi dalla nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. E, in attesa dello sbarco, nel porto di Augusta, ha raccontato ai volontari dell’ong la sua storia. Una lunga fuga dalla guerra che dalla Siria lo ha portato nel cuore del Mediterraneo. Lì un grido di aiuto prima che le onde travolgessero le sperenze e la vita. Grido non si è perso nel mare.
La fuga dalla Siria. “Siamo siriani, ma lì la vita è impossibile. Ho due figli e anche le scuole non sono sicure. Sono un bersaglio per le bombe. A volte passano uomini armati in motocicletta e sparano proiettili alle finestre delle scuole”. Ricorda così M. la fuga da Damasco. La sua unica consapevolezza era “fuggire il più presto possibile”. “C’erano risse, rapimenti, persone che sparivano ogni giorno. Ho venduto la mia casa per niente e sono scappato”. Nella sua memoria è impresso il giorno della fuga, un giorno in cui “ci sono stati molti morti, compreso lo zio di mia moglie”. “Molti miei amici sono stati uccisi”. La prima tappa del lungo cammino è stata la Libia: “Quando siamo arrivati in Libia ho lavorato e la vita è stata tranquilla per un po'”. Ma “presto un’altra guerra ha bussato alla nostra porta”. “La guerra in Libia è più feroce che mai – riferisce M. -. Abbiamo dovuto fuggire di nuovo, i miei figli non potevano camminare per strada. Non ci sono ospedali, né medici. Ogni giorno sentiamo parlare di persone che vengono uccise. In Libia è un caos totale. Eserciti diversi, milizie diverse che si combattono tra loro”.
Dalla Libia la via del mare. Ancora una nuova l’unica soluzione era scappare. Ancora una volta da una guerra. Ma stavolta c’era una sola strada aperta: quella del mare. “Era una notte buia quando i libici ci hanno trasferito su una spiaggia e ci hanno ordinato di salire a bordo di questa piccola barca in vetroresina di 5 metri. Pensavo che saremmo stati 10-15 persone, ma eravamo 43! Era impossibile viaggiare così”. M. se n’era reso conto subito e, oggi, fa sentire la sua voce: “I libici ci hanno accatastati come animali e ci hanno spinto in mare sotto la minaccia delle armi. Ci hanno dato una bussola e ci hanno detto: ‘Andate a nord'”. Quaranta tre persone accatastate e spinte in mare, ma “nessuno sapeva guidare, guidavamo a turni”. La conseguenza era evidente: “Facevamo un sacco di zig-zag e abbiamo passato due giorni in mare senza alcun segno di speranza”. Poi, l’intervento della nave Mare Jonio. “Non dimenticherò mai quel giorno e vi ringrazierò eternamente per questo”. Oggi, l’unica speranza della famiglia siriana è quella di “sentirci al sicuro”. “Non vogliamo vivere in guerra, vogliamo scuole, istruzione e un ambiente sicuro per i ragazzi. L’unico modo per raggiungere questo obiettivo è stato salire su quella barca dalla Libia e attraversare centinaia di miglia di mare aperto con la mia famiglia”.