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Brancaccio, si è insediato il nuovo parroco, don Sergio Ciresi. Lorefice: “Le periferie le costruisce l’uomo”

Durante la Messa d’insediamento, nel giorno della memoria del Beato Puglisi, l’arcivescovo ha denunciato: "Non è vero che non esiste più la mafia". "Dove l'essere umano viene oppresso non può non esserci la Chiesa"

Caterina Ganci
Caterina Ganci
Giornalista pubblicista, laureata in Comunicazione pubblica, collaboro con diverse testate online. Amo il mare, il suo profumo e le sfaccettature dei suoi colori. Non penso che potrei vivere in un posto diverso dalla Sicilia! La nostra Isola è bella e ricca di cultura, storie, tradizioni e se è vero che “la bellezza salverà il mondo" io voglio continuare a cercare, osservare e raccontare le nostre meraviglie con la passione forza motrice necessaria per una giornalista
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PALERMO. Un ritratto del Beato Pino Puglisi, una teca con il Vangelo, e una chiesa piena, con persone in piedi, anche per strada: è in questo clima carico di memoria e speranza che si è svolta, ieri pomeriggio, la celebrazione della Messa di insediamento di don Sergio Ciresi, nuovo parroco della parrocchia San Gaetano e Maria SS. del Divino Amore nel quartiere Brancaccio. A presiedere la liturgia, l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice.

Nel giorno della memoria liturgica del Beato Puglisi, la presenza del suo ritratto accanto all’altare ha reso ancora più toccante il passaggio di testimone in una comunità che non ha mai dimenticato il parroco ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Don Sergio Ciresi, 55 anni, direttore della Caritas diocesana di Palermo e ordinato presbitero nel 2016, prende il posto di don Maurizio Francoforte, scomparso lo scorso dicembre all’età di 62 anni a causa di una malattia.
Nello sguardo limpido e diretto di don Sergio si intravede la gioia e l’emozione. “Sento tanto amore e tanto affetto del Signore attraverso le persone che stanno partecipando alla messa”, dice a Il Mediterraneo 24 un’affermazione breve ma densa di entusiasmo e gratitudine.

Don Sergio Ciresi

Durante l’omelia, l’arcivescovo Lorefice ha ricordato la figura di Padre Puglisi come esempio concreto di un’esistenza permeata di Vangelo: “Padre Puglisi ha testimoniato la sequela del Signore con un amore più grande. Un uomo mite, che sapeva però alzare la voce quando era necessario”.
Rivolgendosi al nuovo parroco, monsignor Lorefice ha affermato: “Considerate le tue capacità umane e sacerdotali e la tua generosità, ti ho nominato parroco di questa comunità. Possa questa scelta essere uno sprone a continuare il tuo operato”. Poi un invito forte e chiaro alla comunità: “Custodite la testimonianza messianica di Gesù, e crescete sulle orme di Padre Pino Puglisi”.

Il cuore dell’intervento dell’arcivescovo ha toccato temi profondi e attuali: le periferie geografiche ed esistenziali, la liberazione dagli idoli moderni, e il ruolo della Chiesa in una società ferita.
“Non è più tempo di costruire comunità come stazioni di riposo – ha detto -. Il centro della città è ogni persona che la abita. Le periferie le costruiamo noi, quando mettiamo al margine l’essere umano”. Richiamando il recente incontro di preghiera nel quartiere Zen, Lorefice ha affermato che “dove il centro, quindi l’essere umano, non viene riconosciuto, anzi viene oppresso, deve esserci la Chiesa. Come sosteneva Papa Francesco, teoria confermata da Papa Leone, dove ci sono persone emarginate e oppressi si concentra la presenza di Dio che ci ha rivelato Gesù Cristo”. Palermo ha bisogno di essere liberata – ha esordito -: “La condizione della nostra società non è meno complessa di quella che c’era negli anni ’90. Il fondamento è sempre uno: c’è chi vuole concentrare il potere economico. Non è vero che non esiste più la mafia, soprattutto noi preti dobbiamo farne coscienza, dobbiamo essere messianici”, ha concluso.

La chiesa di Brancaccio è un luogo carico di memoria e ferite, ma anche di speranza. Il cammino tracciato da don Puglisi è ancora vivo. Con parole semplici, il nuovo parroco ha già iniziato a scrivere la sua pagina, nella certezza che solo partendo dalle periferie si può costruire una Chiesa davvero vicina alle persone. “La mia seconda casa è la strada da sempre e l’ho vissuta a tempo pieno, anche di notte. Continueremo a farlo”, ha detto rispondendo all’arcivescovo che lo ha ringraziato per il suo “sì”.

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