PALERMO. Si dice che i “panni sporchi si lavano in famiglia”. Avviene così anche nei casi di violenza psicologica, alla base di ogni forma di violenza, economica, fisica o sessuale tra uomo e donna. Quella segretezza del non dire, per vergogna o per paura. È un fatto culturale. Si pensa che più che un fatto pubblico, la violenza, sia un fenomeno privato. Ed è questo il motivo per cui spesso la violenza psicologica viene sottovalutata o non riconosciuta.
“Dalla violenza si rinasce ripensando ad una nuova vita, a fianco delle donne con cui si instaura una relazione di aiuto e di supporto. Il primo passo è la consapevolezza. Ammettere che c’è un problema. Sarebbe così facile se una donna, all’inizio di una relazione, si domandasse ‘In questa relazione, io, come ci sto?’”, spiega la psicologa Adriana Piampiano, del Centro antiviolenza Le Onde onlus, che da 30 anni a Palermo lavora con le donne vittime di violenza. “Molte donne, ancora oggi, nonostante i grandissimi progressi in 30 anni hanno difficoltà a riconoscere la violenza psicologica, subìta dal marito o dal proprio partner, perché questa, non lascia tracce fisiche, ma distrugge l’anima.”
I SEGNALI DELLA VIOLENZA. COME RICONOSCERLA?
La svalutazione continua, critiche e umiliazioni per minare l’autostima. L’isolamento, il controllo delle amicizie e degli affetti. Le gelosie ingiustificate e lo stalking, l’ossessione che esercita dominio e possesso considerando la donna di sua proprietà. Insulti, minacce e ricatti. Sono tutti segni di una violenza in atto. Limitazioni all’autonomia morale ed economica, l’insistenza per ottenere rapporti sessuali. I falsi pentimenti, “giura che cambierà”, invece non è mai cambiato. La tattica del silenzio per scatenare senso di colpa e inadeguatezza.
“C’è un’alternanza di attacco e distruzione a momenti di accoglienza, perdono e richieste di scuse. È il ciclo della violenza che raggiunge il picco massimo passando dalla tensione all’aggressione, dal transfert di responsabilità alla ‘luna di miele’, la remissione o ‘tregua amorosa’. Che è la calma prima della recidiva. L’aggressore non constata conseguenze per i suoi atti. Il clima di violenza si reinstalla, la violenza riprende e il ciclo ricomincia”.
PERCHÈ LE DONNE NON SI ACCORGONO DELLA VIOLENZA?
“Perché dovrebbero rinunciare al loro sogno amoroso e al desiderio. Quelli che hanno accanto sono gli uomini che hanno scelto. Quelli su cui hanno costruito il desiderio di una relazione sana venendo spesso, da una famiglia di origine, in cui c’è violenza. Per aderire al loro sogno queste donne sono disposte a perdere una parte di sé stesse, pur di riparare la loro relazione. La donna si fa carico di una responsabilizzazione.
È l’unico modo per sopravvivere: avere l’illusione di poter far qualcosa. ‘Se cucino bene la pasta, se mi faccio trovare sempre perfetta, se rinuncio a questo, qualcosa cambierà’, pensano. La donna si attribuisce il potere di controllare l’uomo. Non è così, è un’illusione. Alla prima occasione il ciclo della violenza si ripresenta. La donna pensa e spera che le cose cambieranno. C’è un’onnipotenza inconscia: ‘se evito di fare quelle cose, per cui lui mi picchia, questa condizione cambierà’. Quell’impotenza apparente che porta a subire in realtà ha a che fare con un’onnipotenza inconscia. Questo meccanismo ci spiega perché le donne si sentono poi in colpa.
La svalutazione “non servi a niente, non ti vorrà nessuno”, quindi l’isolamento “non devi vedere i tuoi amici e i tuoi genitori, non devi andare al lavoro” non vengono riconosciuti come segni di violenza. “Questo impedisce un possibile confronto con un’amica o un familiare. Anche se non sempre i familiari sono di supporto. ‘Te lo sei preso, te lo tieni’, per cui è difficile rendersi conto di ciò che veramente accade.”
E I BAMBINI?
L’arrivo di un figlio, in generale, scatena la violenza fisica. Quando si è in gravidanza o alla nascita del figlio, emergono spesso episodi di violenza fisica. C’è un prima e un dopo. In 30 anni, il riconoscimento della violenza assistita è una conquista recente. Le tracce, la sofferenza e gli effetti che la violenza ha suoi bambini è devastante. “Molto spesso le donne con cui lavoriamo sono l’esito di una violenza assistita, nella famiglia di origine e i loro figli sono il presente di una violenza assistita. Possiamo interrompere questa trasmissione transgenerazionale. Nel momento in cui un bambino assiste ad una violenza ha introiettato un modello maschile e femminile basato su una relazione violenta. Il rischio è che la riproponga perché è quello che conosce. Quando le donne dicono ‘mio figlio sembra mio marito’, soprattutto nell’adolescenza, è quando i maschi rimettono in gioco comportamenti e azioni che hanno visto dal padre”.
E poi, non c’è niente di peggio che l’attacco all’autorità materna perché crea danni nella dimensione della genitorialità della donna. “Non avere riconosciuta quell’autorità non permette alla donna di agire nell’autorità con i suoi figli. Le femmine, le bambine, introiettano un modello perdente in una genealogia del femminile che, deve sempre abbassare la testa, che rischia, che la gelosia è legittima. Se non c’è cambiamento le cose si ripetono. Il futuro sono i bambini e le bambine, che bisogna educare alla libertà, con la prevenzione, da quei modelli che molto spesso ‘incastrano’.”
ECONOMIA E LAVORO: L’EMPOWERMENT FEMMINILE
La violenza economica è molto invalidante. “Dev’essere presa in considerazione quando si costruisce un percorso di uscita dalla violenza. Ha a che fare con l’accesso all’economia della famiglia, alla possibilità di avere una propria economia per pensarsi liberamente e questo fa la differenza. È uno degli elementi più difficili su cui ci scontriamo, con la realtà. Costruire progettualità significa costruire autonomia anche economica. Avere un lavoro significa formazione, quindi inserimento nel mercato del lavoro. Uno degli anelli più fragili della nostra società, specialmente al Sud.”
Al Centro Le Onde dunque si lavora sull’empowerment femminile, sul riconoscimento delle proprie risorse e capacità che dev’essere prima psicologico e mentale, poi di acquisizione di competenze e formazione. “Se non avviene questo le donne rimangono bloccate in una situazione di paralisi e dipendenza. In 30 anni abbiamo investito in questo spazio. Oggi c’è un gruppo di lavoro e degli obiettivi in questa direzione, per la realizzazione di un progetto formativo, con borse lavoro, attività di orientamento al lavoro e bilancio di competenza. È un pezzo di lavoro, un tassello, nel percorso di uscita dalla violenza che la donna fa.”
COME USCIRE, QUINDI, DA UNA CONDIZIONE DI VIOLENZA PSICOLOGICA?
“Chiedendo aiuto, per ripartire da sé stesse. Riattivando, con un supporto, una dimensione di progettualità verso sé stesse. Ascoltando il proprio desiderio. A volte c’è una dimensione depressiva: non c’è speranza, desiderio, né progettualità. Non c’è futuro. Le donne non vedono futuro. Nel momento in cui speranza, desiderio, futuro e amore verso di sè, si riattivano, la trasformazione è avvenuta. Queste donne diventano una potenza. In grado di cambiare il mondo oltre che cambiare il proprio mondo.”
Per contattare il Centro antiviolenza Le Onde: le due sedi operative sono in Viale Campania 25 e in via Lincoln 121 a Palermo. Il numero fisso 091 327973 è contattabile tutti i giorni, dal lunedì al sabato, dalle 9.00 alle 14.00 e dalle 14.30 alle 19.30.