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giovedì, 5 Giugno 2025
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Souleymane, Mustapha e il sogno di vivere da cittadini europei

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Souleymane Bah osserva le luci che illuminano uno dei più grandi teatri d’Europa, il Teatro Massimo di Palermo, anche i suoi occhi si illuminano, mentre parla con fervore del suo sogno di diventare uno stilista e confezionare abiti di alta moda da défilé. Souleymane è originario della Guinea e, mentre mi parla, sorseggia una tazza di cappuccino, immerso nell’atmosfera allegra di una tipica domenica sera nel capoluogo siciliano. Attorno, la gente passeggia per la strada principale che conduce verso le architetture della Palermo arabo-normanna. Prima di tornare alla narrazione della sua storia, Souleymane scambia due chiacchere con alcuni amici in Fula, la sua lingua madre. “La mia passione per la sartoria è nata grazie alla mia famiglia: mio zio ha aperto un’importante sartoria a Conakry, in Guinea, ed è diventato sarto. Ha organizzato diverse sfilate ed è persino stato lo stilista di alcuni presidenti e personaggi pubblici in Africa”, dice, mentre i suoi pensieri viaggiano indietro nel tempo e nello spazio. “Ho davvero apprezzato la sua perseveranza e il suo amore per questo lavoro”. Fu allora che Souleymane decise d’intraprendere quella stessa professione. Quando aveva 15 anni, suo padre lo portò in una sartoria nella sua città natale, dove iniziò il suo apprendistato.

Dalla Guinea a Palermo nel segno della moda

Souleymane Bah lavora alla tecnica del “broderie gros fil” in Mali

“Purtroppo, dopo il diploma, sono stato costretto a lasciare il mio Paese per andare in Mali, dove un trafficante libico mi ha convinto a intraprendere il viaggio verso l’Europa”. Souleymane aveva 20 anni quando è sbarcato in Italia nel dicembre 2016. Ha attraversato il Mali, il Burkina Faso, il Niger e il deserto del Sahara prima di arrivare in Libia, dove ha vissuto per quasi un anno. Descrive il suo viaggio come “qualcosa che non dimenticherà mai”. A Tripoli, capitale della Libia, le terribili condizioni di vita e la sua passione per la moda, un sogno mai accantonato, lo hanno spinto ad attraversare il Mediterraneo. “Avevo due opzioni: o tornare indietro, attraversando di nuovo il deserto verso la Guinea oppure solcare il Mar Mediterraneo e raggiungere l’Europa. In entrambi i casi, la mia vita sarebbe stata in pericolo”, dice. “Ma, alla fine, mi sono reso conto che l’Europa avrebbe potuto offrirmi delle possibilità che non avevo mai avuto prima, come andare a scuola, imparare a leggere e scrivere, e realizzare le mie aspirazioni”.
La determinazione di Souleymane a migliorare le proprie condizioni di vita lo hanno infine portato in Sicilia, dove ha potuto seguire un percorso d’istruzione presso una scuola statale di Palermo. Grazie all’aiuto di un insegnante, ha iniziato una Scuola di Moda, in cui dovrebbe diplomarsi nel 2021. “Vorrei mescolare le tradizioni della moda africana con lo stile occidentale. Mi affascina combinare culture diverse. Credo che l’alta moda possa essere un modo per permettere l’integrazione tra le persone”. Durante il lockdown in Italia, Souleymane ha lavorato con un’impresa siciliana realizzando mascherine con tessuti africani e siciliani. Ma purtroppo un mese fa ha perso il lavoro. “Il mio sogno è diventare uno stilista autonomo. Voglio essere libero – racconta -. Mi piacerebbe aprire uno studio a Palermo perché considero questa città casa mia. Desidererei lavorare con persone che hanno più esperienza di me in modo da poter migliorare”, dice con orgoglio Souleymane. “Credo che cooperare e imparare dagli altri sia fondamentale, perché nuovi stili e tecniche si possono concepire e realizzare solo attraverso lo scambio di idee”.

Mustapha, l’impegno per i diritti umani e il sogno della medicina

Come Souleymane, molti giovani migranti arrivano in Europa con aspirazioni concrete per ricostruire le loro vite e il futuro. Mustapha Jarjou ha lasciato il Gambia nel 2013 quando aveva 15 anni ed è arrivato in Sicilia nel 2015 come minore non accompagnato. Ha trascorso un anno in Libia, dove ha subito torture nei campi di detenzione. Il lungo viaggio in Europa ha plasmato progressivamente la sua personalità, sviluppando il suo senso di giustizia e la volontà di contribuire a un cambiamento sia nella società europea che in quella africana. “Voglio dare il mio contributo per combattere le ingiustizie. L’Europa è il luogo dove i diritti umani sono nati, ma sono ancora violati: le persone vengono sfruttate, costrette a sofferenze, a volte sino alla morte, anche qui. Ho quindi capito che devo dedicare parte della mia vita all’umanità, indipendentemente da etnia, nazionalità, religione. Desidero dar voce alle persone che non ne hanno”, dice. Anche se frequenta ancora il liceo, lavora come volontario con diverse associazioni e scuole per promuovere programmi d’integrazione e diffondere consapevolezza sulla crisi migratoria. “La mia aspirazione è diventare un medico. I medici sono in grado di salvare l’umanità: attraversano i confini per salvare vite. Oggi lo stiamo sperimentando con la pandemia di coronavirus. L’Italia ha visto molti medici arrivare sul suo territorio da diverse parti del mondo per dare il loro aiuto”.
All’improvviso, Mustapha smette di parlare, come se gli fosse saltato in mente qualcosa. Dopo pochi secondi di silenzio, inizia a raccontare la morte di Abou, un giovane migrante ivoriano morto il 5 ottobre all’ospedale Ingrassia di Palermo. Abou aveva 15 anni quando la “Open Arms” lo ha salvato da un naufragio lo scorso settembre. Successivamente è stato messo in quarantena a bordo della nave Allegra, dove ha trascorso dodici giorni. Sul suo corpo c’erano gravi ferite presumibilmente dovute alle torture subite in Libia. Solo dieci giorni dopo è stato trasferito in ospedale; ma due giorni dopo è entrato in coma ed è morto. Lì, da solo. Quando a Palermo è stata organizzata una fiaccolata per commemorarlo, Mustapha ha partecipato. Non aveva più lacrime da versare, dice. Secondo lui “il sistema stesso dovrebbe cambiare ed è responsabilità delle giovani generazioni farlo accadere”.

L’analisi della docente di Sociolinguistica delle migrazioni e politiche d’inclusione

Il ventiquattrenne Souleymane Bah, sullo sfondo, siede con altri giovani migranti, studenti alla scuola di italiano per stranieri Itastra

Negli ultimi anni, la Sicilia ha registrato un picco di arrivi di migranti a seguito della crisi dei rifugiati iniziata nel 2012. Dal 2014, oltre 20.000 persone hanno perso la vita nelle acque del Canale di Sicilia che separa l’Europa dal Nord Africa. E dall’inizio del 2020 sono sbarcate in Sicilia oltre 26.500 persone. Questa ondata migratoria ha comunque aiutato Palermo. La città infatti negli ultimi anni ha riscoperto la sua lunga storia di multiculturalismo con la crescente convivenza di comunità africane, bengalesi e mediorientali. Mari D’Agostino, docente di Sociolinguistica delle migrazioni e politiche d’inclusione all’Università degli Studi di Palermo, spiega che “si tratta di un tipo di migrazione diversa da come la si intende”, sottolineando come dovremmo superare l’idea di una migrazione fondata semplicemente sul sogno di arrivare in Europa, una visione che lei ritiene inadeguata. “Dovremmo piuttosto analizzare questo fenomeno dal punto di vista del percorso complesso in cui si svolge, considerando pianificazioni e cambiamenti legati alle circostanze che il viaggio comporta”. Il contesto in cui arrivano è fondamentale per la riconfigurazione dell’esistenza dei giovani migranti, che spesso sono costretti anche a decidere di lasciare la Sicilia per la “mancanza di opportunità”. “Non vedo alcuna differenza rispetto agli studenti siciliani costretti a lasciare le loro case per realizzarsi. Per i giovani migranti non poter rimanere nella terra in cui approdano è doloroso come lo è per i ragazzi siciliani, dal momento che hanno costruito legami importanti con il territorio”, sottolinea la professoressa D’Agostino. “Dovremmo iniziare a renderci conto che questi ragazzi hanno diritto alla mobilità proprio come i giovani europei”. Mentre Mustapha si prepara per andare a scuola mettendo i libri nello zaino, afferma convintamente che “i migranti rappresentano una risorsa sia per l’Europa che per l’Africa. Solo l’incontro di mentalità e civiltà diverse può dar vita a un vero cambiamento e sviluppo”.
                                                                                                                                                Aurora Pinelli

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