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giovedì, 20 Marzo 2025
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L’impegno di Mamme per la pelle a Palermo: “Trasformare la paura del diverso in solidarietà”

Al Fresco Giardino Bistrot, dibattito su “Il colore delle parole” con gli interventi di docenti, giornalisti, mediatori culturali e dell'europarlamentare Pietro Bartolo

Serena Termini
Serena Termini
È nata il 5 marzo del’73 e ha tre figli. Dal 2005 è stata la corrispondente dell'agenzia di stampa nazionale Redattore Sociale con cui oggi collabora. Da sempre, ha avuto la passione per la lettura e la scrittura. Ha compiuto studi giuridici e sociologici che hanno affinato la sua competenza sociale, facendole scegliere di diventare una giornalista. Ciò che preferisce della sua professione è la possibilità di ascoltare la gente andando al di là delle prime apparenze: "fare giornalismo può diventare un esercizio di libertà solo se ti permettono di farlo".
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PALERMO – Quali sono i colori che descrivono davvero una persona?  Non è certo il colore della pelle a distinguere le persone, tantomeno a definire fantomatiche “razze” che non trovano alcun fondamento scientifico. A sostenerlo, con tutta la tenacia di sempre, è l’associazione nazionale di promozione sociale (Aps) Mamme per la Pelle che, sabato scorso Al Fresco Giardino Bistrot, ha organizzato il dibattito su “Il colore delle parole”. Nello specifico, durante l’incontro, si è voluto aprire un confronto sull’uso corretto delle parole sia scritte che nel linguaggio comune. L’associazione, attiva dal 2018, ha aiutato, fino a questo momento, 148 famiglie, ha organizzato una mostra fotografica, 18 eventi contro il razzismo e la discriminazione, 10 webinar, 32 dirette facebook, due corsi di destrutturazione e un corso di formazione per le forze dell’ordine.

Ad essere interpellati per prima sono stati due docenti universitari con diverse competenze culturali e professionali. “L’uso improprio delle parole a cui assistiamo continuamente, ad un primo livello. è dettato da una forte ignoranza – ha detto Massimo Starita, coordinatore del corso di laurea “Migrazioni, diritti, integrazione” del dipartimento di Giurisprudenza dell’università degli Studi di Palermo -. C’è, però qualcosa di più dell’ignoranza che sono i pregiudizi che spingono all’uso consapevole di terminate parole. A questo aggiungiamo un terzo livello che è quello dell’uso improprio legato volutamente al raggiungimento di obiettivi politici. Possono, infatti esserci slogan elaborati proprio per negare determinati diritti, soprattutto quelli di natura economica e sociale”.

“Il tema è importante considerato che mi occupo di sociolinguistica e cioè di come le parole vengono usate – ha proseguito, inoltre, Mari D’Agostino, coordinatrice dottorato di ricerca in “Migrazioni, differenze,  giustizia sociale” dell’università degli studi di Palermo -.  Le differenze linguistiche possono diventare  diseguaglianza ed emarginazione; la lingua è molto plastica e si presta moltissimo a diventare il luogo dove l’emarginazione e la vergogna viene agita soprattutto nei confronti di chi è più debole. Sicuramente, ancora su questo fronte, l’università e tutto il sistema dell’istruzione fa troppo poco. Davanti a fenomeni eclatanti di razzismo e discriminazione linguistica non possiamo sicuramente autoassolverci anche se, ognuno, nel suo piccolo, tenta e capisce quanto sia importante fare la propria parte”. 

“A livello politico purtroppo sono state sdoganate tante parole che hanno creato molti danni – ha sottolineato l’eurodeputato Pietro Bartolo -. Oggi si parla di sostituzione etnica e ceppo italico ma questo esiste anche a livello europeo. Essendo un medico che ha lavorato a Lampedusa non ho mai fatto alcuna distinzione né di pelle né di colore. Il colore non è assolutamente un problema, è solo un vestito sotto il quale siamo tutti uguali. Purtroppo ho visto i nostri migranti anche senza quel ‘vestito’ perchè in Libia hanno fatto esperimenti scuoiandoli vivi. La mia scelta di andare in Europa è stata per cercare di cambiare la narrazione sulla immigrazione. Sappiamo bene che la razza non esiste perché esistono solo le etnie che hanno culture diverse. Pensare ad una Europa che vuole creare la fortezza europea per non fare entrare nessuno, è una cosa terribile, se pensiamo anche alle posizioni delle ultradestre. Nonostante questo, dobbiamo continuare ad impegnarci in maniera responsabile per trasformare le paure del diverso non in odio ma in una narrazione che punti ad azioni concrete di solidarietà ed accoglienza”.  

Davide Schirò, insegnante e cultore di letteratura per l’infanzia all’Università LUMSA ha mostrato alcuni libri per l’Infanzia in cui sono evidenti degli approcci linguistici e grafici che possono ancora oggi essere considerati distriminatori. Un contributo significativo è stato dato pure da Linda Ogana, vice-coordinatrice della scuola primaria del Gonzaga Campus.
“Purtroppo ancora nei libri di testo – ha affermato Linda Ogana – non diamo la possibilità ai bambini e ai ragazzi di identificarsi pienamente con chi è ‘diverso’. La responsabilità maggiore oggi è affidata a noi insegnanti e ai genitori nella possibilità di fornire esempi e modelli da seguire. Sappiamo bene quanto i più piccoli possano apprendere rapidamente tutto quello che guardano ed ascoltano. Come insegnanti, oltre ai libri, possiamo avvalerci oggi di altri strumenti per fare crescere i giovani come ‘persone pensanti’ senza pregiudizi sociali, arricchendo e migliorando le loro conoscenze culturali”.

“Non siamo in una giungla e il giornalismo non è tale perchè si svolge nel rispetto della Costituzione e delle regole deontologiche – ha sottolineato Marina Turco, giornalista responsabile di Tgs -. Certamente, chi sbaglia paga e di errori ne vengono commessi ancora molti. E’ proprio sul tema del linguaggio che rischiamo, quando vengono violate per esempio la Carta di Roma o la Carta di Trieste. Chi si accorge che il giornalista ha sbagliato deve segnalare alle autorità competenti ciò che è stato commesso. Anche noi, se cadiamo in errore, siamo espressione di questa società piena di difetti e come tali saremo tenuti a rispondere. Posso attestare, però, che ci sono ancora giornalisti bravi che credono molto nello svolgimento della loro professione”.

L’ultimo intervento è stato infine di Issa Fadoul Bichara, mediatore culturale e vice-presidente associazione Stravox. “La persona che ha la pelle nera oggi affronta parecchie discriminazioni politiche e sociali – ha detto Issa Fadoul Bichara -. Si dice per esempio che gli immigrati ‘rubano il lavoro agli italiani’ quando sappiamo bene che, nella gran parte dei casi, fanno lavori poco qualificati e con poche tutele. Molte cose sono alimentate solo da forti pregiudizi che non permettono agli immigrati di potere svolgere certe professioni. Certamente, se non si ha la cittadinanza italiana tante possibilità anche lavorative non sono accessibili anche se sei qualificato e hai dei titoli di studio. Purtroppo, ancora di più, il pregiudizio sociale blocca in partenza la persona migrante che deve faticare per avere riconosciuti i propri diritti al pari degli italiani. Oggi dobbiamo impegnarci per mettere la persona migrante nelle condizioni di potere contribuire alla cura de bene comune”.

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