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lunedì, 23 Giugno 2025
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Il caos in Libia e un ponte di pace tra le due sponde del Mediterraneo al Meeting Francescano di Palermo

Il dialogo tra gli ordinari delle diocesi di Palermo e di Tripoli, con gli interventi del presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, e dell'europarlamentare Dario Nardella, sul sagrato della cattedrale

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di Salvo Di Stefano
PALERMO

Da una parte c’è un Paese nel caos, la Libia, dall’altra la Sicilia, dove a Palermo si è parlato di pace, ieri, al Meeting del Mediterraneo, sul sagrato della cattedrale di Palermo. Ecco le due sponde del Mediterraneo, unite dalla Chiesa cattolica nelle persone del vicario apostolico di Tripoli, mons. George Bugeja, e dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice. La Libia e soprattutto Tripoli sono state raccontate dal presule che ha spiegato che si tratta di una Paese musulmano al 100%, anche per motivi politici. Quindi, il suo compito è quello di prestare servizio agli stranieri che si trovano lì per diverse ragioni. E ha aggiunto che, per adeguarsi alla cultura libica, ha spostato il giorno della liturgia cristiana dalla domenica al venerdì, ovvero il giorno di riposo per tutti.

Gli argomenti di discussione sono stati, dunque, la pace e il Mar Mediterraneo. Da questo incontro è emerso che il “mare di mezzo” deve essere inteso come un mare di pace, dove i popoli che stanno vicini devono riconoscersi, devono vivere da comunità, piuttosto che creare dei muri che isolano le città. “Si ha contezza solamente di alcune guerre perché si verificano in quei Paesi che interessano ai grandi Paesi commercianti, i quali utilizzano le loro risorse per scopo di lucro – ha aggiunto l’arcivescovo di Palermo -. La terra è pensata come casa comune, e Dio ha mandato suo figlio, nostro Signore Gesù Cristo, per vivere nella sua parola, anche se non siamo fedeli”; queste le parole di mons. Lorefice che incoraggiano i cristiani credenti a vivere la vita come una marcia per raggiungere la pace.

In collegamento è intervenuto il cardinale Matteo Zuppi (arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana) che ha spiegato come il periodo di calma che abbiamo vissuto sia stato solo apparente, solamente una tregua. Infatti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, siamo nuovamente davanti a un mondo e a un Mediterraneo sofferente. Sottolineando come la prima parola usata da Papa Leone XIV sia stata “Pace a voi”, il cardinale ha invitato tutti a vivere l’impegno della pace, che “si costruisce dal cuore, dal dialogo, dal diritto e non dalle armi”.

Di questo tema ha parlato anche don Vito Impellizzeri (preside della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Battista”), che ha moderato l’incontro, dicendo: “La Pace si riscatta con le parole, e la prima parola da riscattare è onore. I mafiosi non sono uomini d’onore, chi lo ha non uccide. Piuttosto si mette a disposizione dei più deboli”.

In collegamento anche Dario Nardella, europarlamentare ed ex sindaco di Firenze, seguendo le orme del suo predecessore Giorgio La Pira, ha detto che il Mediterraneo deve essere pensato come un continente a sé stante; le cui città, intese come grandi comunità, sono la chiave di una nuova Europa basata sui popoli.

Sul tema della pace, mons. Buraje è intervenuto dicendo che “è una bellissima parola, ma spesso viene abusata”. “Per dare la pace, bisogna innanzitutto averla nel cuore, così da poterla condividere con chi non la conosce. Si parla veramente di pace quando parli con i propri nemici, e bisogna comunque avere la capacità di ascoltare anche quello che non viene condiviso. Nel tempo che stiamo vivendo le parole di pace sono solo parole, questo perché non c’è genuinità”.

Prima di concludere, è stato trattato anche il tema dei migranti, quindi è stato chiesto all’arcivescovo Lorefice cosa intenda lui per “parto”? “Chi parte vuole vivere e avere un futuro – ha risposto -. L’attraversamento del Mediterraneo ci permette di vedere la vita come un’istanza di carattere economico e politico. La speranza del futuro si scontra con l’opportunità che la stessa vita si spenga, facendo diventare il Mar Mediterraneo un cimitero”. “Noi abbiamo creato l’emergenza dei migranti, ma ciò a cui assistiamo è mobilità umana, ovvero il diritto di partire o rimanere nella propria casa – ha concluso -. Chi parte vuole trovare braccia aperte che lo accolgano e non dei muri che lo respingano. Inoltre, non vuole subire le condizioni che imponiamo, quelle del nostro potere. Un falso idolo che genera scarti, morti e guerre”.

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