PALERMO. Dare voce alle storie, trasformarle in un bene comune e farne strumento di cambiamento. È stata questa la sfida al centro del convegno «Quinto capitale. Lo sguardo e le parole delle comunità accoglienti», che sabato 20 settembre ha riempito la sala di Palazzo Comitini a Palermo. Una giornata di confronto promossa dal Sai Palermo e dal Centro diaconale La Noce, che ha portato insieme amministratori, giornalisti e operatori sociali.
Un concetto nuovo, quello di “capitale narrativo”, ma che ha trovato riscontro immediato nell’esperienza quotidiana del sociale. «Nel Sai lasciamo parlare le storie, stiamo riconnettendo la città con la nostra diversità – ha detto l’assessore comunale all’accoglienza migranti, Fabrizio Ferrandelli –. La politica deve solo gestire la realtà, non costruirla». E proprio dal racconto delle storie parte l’intuizione di Angela Errore, responsabile del Sai Palermo: «Il capitale narrativo è il patrimonio che gli operatori mettono a disposizione di tutti. È la possibilità di dare visibilità a quello che accade, alle difficoltà e ai percorsi che prendono forma».
Un approccio innovativo che a Palermo ha preso corpo anche sul piano della comunicazione. «Il Comune ha fatto una scelta coraggiosa, unica in Italia: inserire un comunicatore all’interno di un progetto Sai – ha spiegato Gabriella Debora Giorgione, giornalista ed esperta comunicazione Sai Palermo –. Un lavoro che ci porta alla ricerca delle relazioni con chi gestisce l’accoglienza, con le diverse figure del coordinamento. Tanto da organizzare due volte al mese riunioni sulla comunicazione, consapevoli che dobbiamo seguire un profilo istituzionale. Da Palermo è partita con questo evento una parola nuova sul capitale narrativo alla luce dell’esperienza del Sai Palermo».
Il tema della comunicazione come costruzione di legami è stato approfondito da Anna Ponente, direttrice del Centro diaconale La Noce: «Non è solo tecnica: ogni atto comunicativo è relazionale e politico. Raccontare non è un semplice trasferimento di informazioni, ma una costruzione di legami sociali. Comunicare in comunità accoglienti significa rompere i pregiudizi, promuovere cambiamenti, parlare di diritti, confini e identità. La comunicazione deve essere consapevole, partecipativa ed etica». Dall’esperienza valdese, Claudio Geymonat (Riforma) ha raccontato la sfida di comunicare l’uso dei fondi dell’8xmille, «non solo per trasparenza, ma per smontare pregiudizi, anche concedendo sovranità comunicativa a soggetti terzi».
Sul ruolo dei media locali è intervenuto Filippo Passantino, direttore de Il Mediterraneo 24: « La nostra startup sociale nasce per generare impatto sociale attraverso la comunicazione, quindi con l’intento di creare un cambiamento nella comunità. Cerchiamo poi di misurare il nostro capitale narrativo con la valutazione d’impatto. Con l’informazione del nostro giornale online, ilmediterraneo24.it, e della nostra piattaforma di condivisione video, terramatta.tv, lavoriamo a migliorare numero di accessi, partecipazione e qualità dei contenuti. Con la formazione che realizziamo nei nostri laboratori di giornalismo e comunicazione sociale e digitale cerchiamo di accrescere le competenze dei partecipanti. L’obiettivo più grande è, infine, l’impatto sulla comunità». In questa prospettiva, ilmediterraneo24.it ospiterà anche gli articoli realizzati dai ragazzi della redazione Sai Palermo, un modo concreto per valorizzare le competenze acquisite e restituirle al territorio.

Matteo Scali (Radio Beckwith) ha invece distinto tra community e comunità: «Le prime sono spesso egoriferite, mentre la comunità si costruisce includendo prospettive diverse. Siamo col nostro lavoro un player culturale che vuole fare formazione nel territorio. Vogliamo costruire comunità attraverso la comunicazione, coinvolgendo anche chi ha prospettive diverse».
Pino Ciociola (Avvenire) si è soffermato su come si comunica il sociale: «Devo raccontare, non convincere. Raccontare il sociale significa entrarci dentro. Non si può restare fuori: bisogna vedere da vicino la gioia e il dolore, dare attenzione ai dettagli. Il racconto parte da lì. Le storie sono le persone. Tutte hanno una loro dignità. Raccontare è anzitutto osservare».
A tirare le fila, l’analisi di Fabrizio Minnella (Fondazione “Con il Sud” e “Con i Bambini”): «La comunicazione sociale non può essere neutra. O è partecipativa e genera cambiamento, o non è comunicazione sociale. La narrazione, a differenza del semplice racconto, implica un punto di vista. Siamo nell’ere in cui la narrazione determina i fatti. Non essere attivi e non prendere posizione significa subire le narrazioni».
Tra le testimonianze anche quella di Djoulafa Traore, ospite della struttura “Stellaria”, gestita dalla cooperativa Libera..mente e da Idee in Movimento, che ha portato la sua esperienza diretta di accoglienza e il valore di poter essere parte attiva di un percorso di racconto collettivo. L’incontro si è chiuso con una convinzione comune: il capitale narrativo è una ricchezza che appartiene non solo agli operatori o alle istituzioni, ma a tutta la cittadinanza. Restituirlo, attraverso le storie, significa dare attenzione al lavoro sociale e i frutti che genera, ma anche rafforzare i legami comunitari di una città che vuole essere accogliente.








