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Avofid: “Nei pronto soccorso il mancato diritto alla salute delle persone con disabilità grave”

La presidente della cooperativa Rossella Proietti: “In Sicilia sono invisibili ma non ci arrendiamo. Chiediamo all'assessore un tavolo tecnico”

Serena Termini
Serena Termini
È nata il 5 marzo del’73 e ha tre figli. Dal 2005 è stata la corrispondente dell'agenzia di stampa nazionale Redattore Sociale con cui oggi collabora. Da sempre, ha avuto la passione per la lettura e la scrittura. Ha compiuto studi giuridici e sociologici che hanno affinato la sua competenza sociale, facendole scegliere di diventare una giornalista. Ciò che preferisce della sua professione è la possibilità di ascoltare la gente andando al di là delle prime apparenze: "fare giornalismo può diventare un esercizio di libertà solo se ti permettono di farlo".
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PALERMO – “I disabili gravi non collaboranti se si recano al pronto soccorso non sono aiutati come tutte le altre persone della società. Eppure, nonostante tutto, deve essere riconosciuto il diritto alla salute, secondo l’articolo 32 della Costituzione”. A dirlo con forza è Rossella Proietti, presidente della cooperativa Avofid (Associazione Volontari Famiglie Disabili), mamma di Emanuele che, da 33 anni, lotta in prima linea per garantire i diritti a tutte le persone con disabilità grave. La cooperativa, oltre ad avere un centro diurno, gestisce pure una comunità alloggio per 10 persone con disabilità psicofisica (da 20 a 60 anni) h24. Tra le diverse lettere che, dal 2009, hanno inviato alle istituzioni, le ultime sono state indirizzate all’assessore regionale alla sanità Daniela Faraoni e al dirigente generale Salvatore Iacolino.

“Dove sono i percorsi dedicati alle persone con disabilità grave? Generalmente, al Pronto Soccorso, non riuscendo ad esprimersi vanno in escandescenze – afferma Rossella Proietti -. Ci vorrebbe un personale sanitario che possa avere il giusto approccio per evitare che la situazione degeneri”. “Se il disabile si sente male chiamiamo il 118 e poi, incrociamo le dita affinchè gli interventi siano tempestivi, prima che sia troppo tardi. Se il personale sanitario non riesce a capire in tempo un problema il disabile può arrivare pure alla morte. In molti casi abbiamo dovuto riportare  a casa la persona sofferente senza risolvere nulla. A me, negli ultimi 2 anni mi sono morti già cinque ragazzi e la diagnosi e sempre la stessa: ‘beh signora, era disabile’. Non si muore di disabilità ma di malattie”.

“Mio figlio con la sindrome di Down, l’anno scorso, ha avuto disturbi gastrointestinali molto seri – racconta la signora Rosa Caccamo -. Considerato le lunghe attese della sanità pubblica ho dovuto prenotare alcune visite intramoenia. Oggi, non ha ancora una diagnosi precisa pur soffrendo di una infiammazione intestinale cronica. Il nostro è stato un vero e proprio calvario e lo è tuttora. Perchè chi è disabile deve soccombere e patire ancora di più degli altri?”. “Mio figlio ha avuto diversi problemi di salute e una operazione al cuore – racconta pure la signora Domenica Messina, mamma di Luciano di 30 anni con sindrome di down, psicosi e disturbi comportamentali -. In occasione di alcune crisi, in ospedale, non sono riusciti a capire cosa avesse, limitandosi solo a scrivere ragazzo non collaborante. Vorremmo essere aiutati perché come genitori siamo molto stanchi. A Palermo non c’è nulla e mio figlio per adesso si trova in una comunità di Caltagirone”.

Per rispondere a questo problema, nel 2000 in Lombardia è nata una corsia preferenziale con il progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) – Ospedale San Paolo. Nel 2013 a Palermo era stato avviato il progetto ANCORA all’interno dell’Ospedale Policlinico Paolo Giaccone, finanziato dall’Assessorato alla Sanità. Il progetto ANCORA (Accoglienza non collaboranti: Orientamento alle risorse assistenziali) era finalizzato alla presa in carico delle persone disabili non autosufficienti, attraverso l’attivazione di percorsi assistenziali facilitati in risposta ai diversi bisogni. “Oggi, purtroppo – racconta Rossella Proietti – è diventato un semplice ambulatorio per piccoli prelievi e visite di un medico internista. Non si è andati avanti e tutto si è fermato. Il modello ambulatoriale che desideriamo, lontano dall’approccio sanitario di emergenza che traumatizza familiari e paziente, vuole evitare situazioni estreme”. “Chiediamo all’assessorato alla sanità di riattivare il progetto Ancora. Basterebbe che i medici possano fare un percorso di formazione adeguato, già all’interno del Policlinico universitario. Chiediamo, pertanto, di avviare un confronto, aprendo un tavolo tecnico sul tema”.

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