PALERMO. “A Palermo occorre ricucire il rapporto tra centro e periferie. È fondamentale costruire una rete di mediateche, cioè biblioteche e sale dove offrire accesso a libri e giornali, distribuite in tutte le periferie, così come occorre ripristinare la rete dei centri di aggregazione giovanile o pensare ai centri sociali per anziani. Tutti luoghi che consentono di uscire dall’isolamento fisico e culturale”. Lo dice Emilio Vergani, docente di metodi e tecniche della progettazione sociale alla Lumsa di Palermo, oltre che valutatore di progetti e servizi.
Professore, qual è lo stato della pianificazione sociale?
“Dopo vent’anni di legge 328 le cose non sono andate come sperato. I piani di zona non sono decollati mi pare, tuttavia oggi, con la legge di riforma del Terzo Settore e con un pronunciamento della Corte costituzionale (131/2020), viene riconosciuto un ruolo di primo piano, rispetto al passato, agli Enti di Terzo Settore (ETS). Da un punto di vista formale, sono previste una co-programmazione e una co-progettazione. Dal punto di vista delle potenzialità, vi sono le condizioni per far uscire da una subalternità il Terzo Settore rispetto alla Pubblica Amministrazione, perché sono stati messi sullo stesso piano. Nei fatti, ciò fatica a prendere forma”.
Qual è la situazione in Sicilia?
“E’ una mappatura difficile. La zona Orientale parrebbe più vivace, però la rete del volontariato è molto forte anche nel Palermitano. La Sicilia Centrale non è tutta uguale, vi sono delle realtà in movimento, per esempio a Caltanissetta. Le aree metropolitane – Palermo, Catania e Messina – esprimono tanti bisogni ma anche reti molto forti e ben organizzate. Noto spesso invece un problema di fondo che ha a che fare con la presenza – nella mente prima che nei fatti – della Regione, alla quale si pensa sempre per risolvere tutto. È opportuno a mio avviso che le comunità, le reti locali, si riconoscano un potere-di fare qualcosa. Hanno le risorse culturali, relazionali e sociali per impostare un percorso progettuale sulla comunità stessa”.
Su cosa occorre puntare?
“Avanzo un’ipotesi; penso si debba uscire da una dimensione settoriale. Bisogna che si creino team di lavoro multi-agency e politiche pubbliche integrate. I progetti che traducono le politiche pubbliche devono a loro volta essere integrati. Servono soggetti con più competenze che lavorino intorno a una visione allargata comune. Per esempio di città, di futuro, di area del Mediterraneo. Per dirla con una battuta: non si può pensare solo ai lavoratori o solo ai pettirossi, occorre pensare a entrambi contemporaneamente”.
Da un punto di vista sociale, che cosa progetterebbe a Palermo che manca?
“Palermo ha tante possibilità ma tutte frammentate, scollegate. Un primo elemento su cui bisognerebbe lavorare è la riconnessione tra centro e periferie, va rammendato il tessuto urbano. Perché altrimenti vi è un centro che va avanti e tutto il resto della città invece abbandonata a se stessa. Va ricucito un rapporto tra centro, dove le persone “usano” la città ma non per forza la abitano, e periferie che sono i luoghi dove le persone vivono. Insisto sulla metafora del rammendo. Per farlo è fondamentale costruire una rete di servizi distribuiti sui territori, l’ho già detto, e naturalmente garantire quelli essenziali (acqua, rifiuti, viabilità ecc.). Palermo è una città amministrativa del Mezzogiorno che sta faticosamente cercando di superare una storia che l’ha profondamente segnata, si deve dare una visione di lungo periodo, un compito che riguarda tutti”.