di Daniele Viola
SEGESTA
Nel maestoso scenario del Teatro Antico di Segesta, il 16 agosto – con replica il 17 – è andata in scena la tragedia di Antigone nella versione portata in scena dalla compagnia Gabriele Vacis / PEM, all’interno della rassegna teatrale estiva che da anni anima il sito archeologico con spettacoli che fondono tradizione e attualità.
La figura di Antigone, protagonista del dramma attribuito a Sofocle, è stata proposta in una chiave fortemente contemporanea. Non più solo eroina tragica, ma donna consapevole e ribelle, disposta a sfidare le leggi del potere per obbedire a quelle non scritte della coscienza e della pietà. Antigone, infatti, sceglie di dare sepoltura al fratello Polinice nonostante il divieto imposto da Creonte, incarnando così il conflitto eterno tra legge dello Stato e legge morale. La regia ha saputo esaltare il valore universale e femminile della sua scelta, ponendo Antigone al centro di una riflessione sul ruolo della donna nella società di ieri e di oggi. Il testo classico si è trasformato in un grido attuale contro ogni forma di oppressione patriarcale, dando voce a una figura femminile che non accetta il silenzio, che non arretra di fronte al potere, anche a costo della vita. Lo spettacolo ha saputo collegare la tragedia antica alle sfide delle donne contemporanee: dal diritto all’autodeterminazione alla lotta per la parità, richiamando anche i recenti fatti di cronaca che mostrano quanto ancora sia necessario battersi per la libertà femminile.
Particolarmente toccante è stata la dedica finale dello spettacolo: la rappresentazione è stata infatti dedicata a Marah Abu Zuhri, 20 anni, di Gaza, morta 36 ore dopo il ricovero al Cisanello. Era arrivata in Toscana la notte tra il 13 e il 14 agosto, con un ponte aereo sanitario che da Elat (Israele) l’aveva portata a Pisa perché fosse curata. Un gesto simbolico e potente, che ha dato ancora più peso alla figura di Antigone come simbolo di resistenza, giustizia e umanità negata.
In un contesto carico di storia come Segesta, Antigone è diventata così un manifesto civile e universale, che continua a interrogare le coscienze e a infiammare gli animi. Ci sono momenti in cui le leggi scritte dallo Stato – nate teoricamente per garantire ordine e giustizia – si rivelano strumenti ciechi, piegati agli interessi di pochi. Spesso sono norme costruite da uomini per proteggere sistemi economici, equilibri di potere, privilegi consolidati. In nome di queste leggi, si ordina, si vieta, si punisce. Ma cosa accade quando quelle stesse leggi entrano in conflitto con ciò che ci rende umani? C’è chi sceglie di obbedire, di restare nel recinto della legalità, anche se ingiusta. E c’è chi invece sceglie la via più difficile: seguire le leggi non scritte, quelle dettate dal cuore, dall’amore, dal dovere morale verso chi si ama. Sono scelte che spesso comportano conseguenze gravi, persino la condanna. Ma sono anche le scelte che cambiano il mondo, che lo tengono vivo. In questa tensione tra giustizia formale e giustizia profonda si gioca una delle sfide più vere della nostra epoca: può uno Stato punire chi agisce per amore, per pietà, per rispetto della dignità umana? E se lo fa, a chi serve davvero quello Stato? Chi sceglie gli affetti al posto delle regole ingiuste, porta con sé il peso del rischio ma anche la forza della verità. Come Antigone, rifiuta di abbassare la testa. E ci ricorda che la legalità non basta, se non è accompagnata da giustizia.