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sabato, 22 Marzo 2025
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I crolli e il dovere del cronista: il terremoto nel Belice raccontato da Contessa Entellina

Il ricordo del sisma raccontato da chi lo ha vissuto, 56 anni fa, nelle zone vicine a quelle più colpite, tra doveri familiari e impegno giornalistico

di Nicolò Graffagnini

– La prima scossa –

Fu di Domenica la prima scossa, poco prima delle 13,00, io mi trovavo nell’ultima sala del Circolo Skanderbeg di Piazza Umberto I, a Contessa Entellina, intento alla lettura del quotidiano, in attesa di essere chiamato da mia madre per pranzo.

L’avvertii in modo molto distratto, ma capii che non si trattava di una cosa normale, per cui raggiunsi casa in pochi minuti e qui avvertii la grande preoccupazione di mia madre che invece asseriva di averla sentita ben forte….!.

Fu allora che presi il telefono e cercai di sapere al giornale L’ORA ( con cui collaboravo ) le notizie ricevute dai paesi vicini. Un redattore si incuriosì della notizia riguardante il mio paese e insieme cercammo di riassumere su una carta geografica ideale della Sicilia le sporadiche notizie che pervenivano di tanto in tanto, data la giornata domenicale , da Partanna , S.Ninfa,Vita ,Campobello, S.Margherita Belice.

Io compresi che si trattava di un fenomeno di vaste proporzioni che toccava le tre province di Trapani, Agrigento e Palermo e il territorio del mio paese : Contessa Entellina si trovava alla confluenza delle tre province.

Grazie all’invito di mio zio Vincenzo, realizzai l’idea di trascorrere la notte con mia madre e mia sorella, vegliando tutti insieme da lui; mio zio pensava che le opere realizzate in cemento armato a casa sua e della zia Ninì in Via Candia, avrebbero resistito meglio a possibili altre scosse .

Aspettammo mezzanotte così come si aspetta la mezzanotte del Capodanno, svegli ma in attesa dell’ignoto….!

Questo… aleggiava nei nostri discorsi fin dalla prima serata, mentre il telegiornale trasmetteva poche, sporadiche notizie sul terremoto in Sicilia, data la giornata domenicale e i vuoti in redazione a Palermo ; io forse ne sapevo di più, avendo parlato con i redattori del giornale L’ORA.

Poi …tutto successe all’improvviso , a mezzanotte e qualche minuto la terra iniziò a tremare…! Improvvisamente noi tutti ci lanciammo…verso fuori cercando di orientarci nel buio….dirigendoci verso il sottoscala della Zia Ninì…secondo il piano fatto da mio zio.

In cielo… uno spettacolo da Apocalisse, contribuì ad aumentare le paure, infatti man mano che le case si distanziavano tra loro per effetto delle scosse, i fili della luce si spezzavano facendo sventagliare le scintille dappertutto e provocando in pochi secondi il buio più assoluto, violato un pò più tardi , dalle scintille di altri fili che venivano a rompersi per effetto di altre piccole scosse successive, poi il silenzio…!

Furono quelli i minuti più lunghi della mia vita e credo di tutti i Contessioti… e dei cittadini della Valle del Belice!

Le voci delle persone che nel buio salivano o scendevano, tra l’altro erano ancora più preoccupate, perché ognuno tentava di raggiungere qualche parente e raccontava di danni alle case, per sentito dire o per esperienza diretta…!

Restammo nel sottoscala della Zia Ninì fino alle prime luci dell’alba, allorché in famiglia si prese una decisione drastica suggerita dallo Zio Vincenzo, trasferirci verso l’uscita del paese, nello spazio libero sotto la Villa ai Caduti e lì tentare di costruire una tenda.

In vista della seconda notte da passare fuori, io e mio cugino Pino, verso le 10 del mattino decidemmo di farci coraggio e andare prima a casa mia e poi a casa sua per prendere il necessario d’abiti.

– La seconda scossa –

Fu così che sentii violentemente la seconda e grande scossa che secondo me finì per lacerare la zona sottostante casa mia , la Via Croja .

Giunti in Piazza Umberto I°, notammo da lontano davanti casa mia la figura di un giovane carabiniere che vigilava l’unica vittima del terremoto, il sig. Merendino, steso a terra e ricoperto da un lenzuolo in attesa del Pretore per la rimozione del cadavere.

Mio cugino Pino decise di fermarsi e far compagnia alla salma e al carabiniere nei minuti di attesa, io salii subito al primo piano per cercare nel grande armadio della stanza da letto, le cose richieste dai miei, ma non ebbi il tempo di aprire tutto l’armadio perché me lo sentii piombare addosso e dovetti fare appello a tutte le mie forze per illudermi di sostenerlo e poi fuggire …!

Furono pochi secondi di pressione e di movimento di tutta la casa, io mi ritrovai scaraventato nell’altra stanza all’inizio della scala che percorsi forse con un unico balzo e mentre tentai di uscire dalla porta di ingresso su Via Morea, udii le urla di mio cugino e del carabiniere che mi proibirono di uscire per paura di crolli…!

Loro forse videro i nostri balconi scontrarsi con quelli di fronte, qualcosa di simile a ciò che in seguito mi raccontò il Sig. Gebbia .

Nella notte della prima scossa infatti lui, uscito fuori casa, vide la zona della fontana della Favara ribaltarsi a 45 gradi sui prospetti delle case di fronte, una scena aggiungeva lui, indimenticabile …!

Il fatto che il secondo balcone grande e il prospetto di casa mia dopo quella scossa e l’altra successiva sembravano aver ricevuto una scarica di cannonate la dice lunga sulla possibilità che anche il prospetto di fronte con la lunga balconata, avesse incontrato a mezza strada il mio, come nel racconto del Sig. Gebbia!

– La seconda notizia –

La sera del terzo giorno, nel primo pomeriggio, notammo un trambusto provenire dall’esterno della grande tenda, costruita davanti la Villa ai Caduti, ove eravamo riuniti tutta la famiglia con mio zio e la famiglia di Salvatore, e alcune persone si fecero avanti nell’anti tenda chiedendo il permesso di entrare…!

Subito notai la figura alta e imponente del Sindaco Di Martino, incuriosito mi alzai per salutarlo, insieme agli altri occupanti della tenda.

Con fare misterioso e deciso il Sindaco, già a Contessa la Domenica, mi diede una buona strappata, rimproverandomi di non avere dato la seconda notizia del terremoto dopo la prima delle ore 13,00 di Domenica. Io ribadii un po’ intimidito perché colto in fallo, accennando ai miei doveri di capo famiglia e al mio daffare per trovare un posto sicuro per la tenda… Lui di contro spiegò che in città aveva lasciato la moglie (mia cugina Tomasina) e i due figli, alloggiati su una macchina, nei pressi del Motel Agip… per correre in paese e mettersi a disposizione della popolazione!

Il riferimento al suo quadro familiare così sinteticamente esposto , mi diede immediatamente il valore dei doveri che si imponevano a chiunque avesse avuto in quel frangente incarichi pubblici o di pubblica utilità.

Fu una scossa salutare e …a prescindere dai gradi di parentela … gli promisi tutta la mia collaborazione …per fare da tramite tra le necessità del paese e le due redazioni con cui collaboravo in quel momento: il quotidiano della sera L’ORA e la RAI regionale di Palermo.

Fu così che mi salvai dall’iniziale torpore del terremotato che ti assale quando ti senti letteralmente impotente di fronte alle forze primigenie della natura e ne soccombi senza reagire attivamente… !

Avviai immediatamente i contatti con i carabinieri della locale stazione… per offrire giornalmente il quadro della situazione locale alle due redazioni.

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