PALERMO. Con i suoi occhi neri e un profondo sguardo mediterraneo, la giornalista amica, Antonella Folgheretti, mi accoglie a casa sua. Sceglie di raccontare il suo percorso di vita, consapevole che questo possa riuscire ad aiutare anche tante altre persone che convivono con una disabilità o con altre difficoltà della vita.
Originaria di Misilmeri, a pochi chilometri da Palermo, la tua esperienza professionale inizia proprio da questo piccolo paese.
Sono iscritta all’ordine dei giornalisti dal’97. A Misilmeri ho iniziato a fare le mie prime piccole esperienze giornalistiche locali. Ricordo che iniziai a fare un primo telegiornale e una rassegna stampa mattutina in una radio che copriva parecchi piccoli comuni. Appassionata di ricerca storica, iniziai a scrivere, pure, per le pagine culturali di alcune riviste. Amavo la lettura tanto da essere considerata, nel mio paese, “la persona strana che camminava sempre con un libro in mano”.
La vera palestra professionale per tanti anni è stata la collaborazione con il Giornale di Sicilia.
Con il tempo, ho sentito il desiderio forte di abbracciare la professione giornalistica. Quella al Giornale di Sicilia, fu una esperienza, di molti anni, dal 1994 al 2009, lunga e molto arricchente. In particolare, in quegli anni, mi sono occupata principalmente di cronaca bianca e nera nel territorio siciliano di Misilmeri e dei comuni vicini, all’epoca, ad alta densità mafiosa.
Nel 2000, incontrando il compagno della tua vita, ti sei sposata ma il sogno di vivere un amore sereno si è interrotto molto presto.
Purtroppo sì. Dopo sei mesi di matrimonio, mio marito Pippo, si è ammalato. La sua malattia cardiocircolatoria diventò sempre più pesante e tale da non permettergli, purtroppo molto presto, più di lavorare. In questo modo, finì il progetto di vita che avevamo sognato insieme.
Durante la malattia nasce, però, vostro figlio Filippo.
Ci siamo voluti molto bene anche se lui non aveva mai accettato la sua malattia, soffrendo periodi di depressione. La nascita di Filippo è stata la cosa più bella della mia vita. Mio marito, morì nel gennaio del 2012, per un arresto cardiaco avvenuto sul divano di casa davanti a me e Filippo che aveva 7 anni. Con la sua perdita, dopo un periodo di smarrimento, sono riuscita, a poco a poco e grazie pure all’aiuto della mia famiglia, a ritrovare la forza di andare avanti e il coraggio di continuare a lavorare per diverse realtà. Desideravo, nonostante tutto, proteggere e fare crescere bene mio figlio che oggi ha 19 anni. Ho avuto pure belle proposte lavorative: iniziai a collaborare con la Fondazione Buttitta e con l’Accademia di Belle Arti, continuando a credere molto nella mia professione di giornalista. In alcuni casi, ho saputo anche dire di no.
Nel 2015, a quasi 46 anni, è arrivata, in maniera inaspettata e con tutta la sua aggressività progressiva, mentre eri nel pieno della tua vita professionale, la sclerosi multipla.
Il 22 novembre di otto anni fa, ho iniziato ad avere una visione doppia e un fortissimo mal di testa. Successivamente a questo malessere, ho avuto, dopo cinque giorni, una emiparesi. A conclusione di un percorso sanitario tortuoso, dopo un lungo e difficile ricovero, è arrivata la diagnosi della sclerosi multipla. A questo punto la scelta era quella di soccombere o continuare, rimboccandosi le maniche, a ritrovare ogni giorno la voglia di vivere. Ho dovuto, con coraggio, accettare tutti i sintomi della malattia. Sempre accanto a Filippo che aveva solo 12 anni.
Dopo la malattia è pure arrivata una batosta lavorativa.
Purtroppo, sì. Con grande stupore, come conseguenza e in maniera del tutto inaspettata, arrivò il mancato rinnovo di un contratto di lavoro che mi lasciò completamente disarmata. Nonostante questo, ho continuato lo stesso a lavorare con altre realtà, facendo capire, soprattutto agli altri, che ero in grado di farlo. Oggi lavoro per la tutela dei diritti umani con HRYO (Human Rights Youth Organization) e per Raizes Teatro.
Con la malattia hai scoperto il valore di una rete di amicizie e di persone con cui ci si può sostenere a vicenda.
Negli anni, ho imparato a raccontarmi, mettendo a nudo le mie fragilità, gli scoraggiamenti e il desiderio forte di cercare di non sentirmi mai sola. Ho scoperto che è bello volersi bene all’insegna della reciprocità. C’è una rete di amicizie e di persone che si sono messe in vario modo a disposizione. Ho scoperto l’importanza di condividere con gli altri i propri momenti della vita, valorizzando tutte le piccole cose.
Credi ancora molto nel processo di umanizzazione della professione giornalistica.
Il giornalista non deve perdere mai la sua umanità perchè al centro di tutto ci deve essere sempre la relazione con gli altri. Non basta solo applicare in maniera fredda le regole perchè, per amare questo lavoro, bisogna incontrare l’altro mettendosi in ascolto profondo della persona. Non a caso, anche con le mie condizioni di salute, ho accettato di fare parte del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti. L’intento è quello di portare avanti la sensibilizzazione e valorizzazione di certi temi sociali. Non esiste solo il dovere di cronaca, nudo e crudo, ma occorre, in primis, al di là della caccia ‘selvaggia’ alla notizia, il rispetto di ogni persona umana.