“I sogni di zenzero sono i miei sogni”, spiega Mareme Cisse, chef senegalese, 44 anni, arrivata in Italia all’età di 23 anni, che nella ristorazione ha trovato il suo riscatto. “Dovevo lottare, avevo un marito che ad un certo punto ha deciso di tornare in Senegal, e quattro figli, che sono rimasti con me ad Agrigento. La mia cucina cresce con me, il mio lavoro mi ha salvato. In questo libro ‘Sogni di zenzero’, edito da Slow Food, racconto il mio percorso di vita e il mio lavoro con la cooperativa sociale Al Kharub, con la quale abbiamo aperto il ristorante ‘Ginger’ ad Agrigento, che in inglese significa ‘zenzero’. In Senegal beviamo molto il ginger, e lo usiamo anche in cucina. Senza la cooperativa, senza una squadra accanto a me, non avrei potuto fare niente”.
Il ristorante Ginger di Mareme Cisse ad Agrigento nasce nel 2016 nella “Capitale Italiana della Cultura 2025”. “Da vent’anni sono in Italia – continua la chef – lavoro nella ristorazione, e avevo già un mestiere in mano quando sono arrivata in Sicilia a 23 anni. La mia specialità è il cous cous di pesce, che mangiamo in Senegal. La mia cucina è contaminazione con ingredienti siciliani come l’olio extravergine di oliva e il grano duro. Ma anche i tenerumi, i carciofi, le triglie e tanto altro. Io amo sperimentare.”
Un esempio? “Il Wiri Wiri preparato da Mareme con la cipolla ‘paglina’ ripiena, buonissima, con una salsa adagiata sopra che la fa sembrare una sfera lucida e perfetta. Il ristorante è nella guida di Slow Food”, racconta la giornalista Lidia Tilotta, vicecaporedattrice della Tgr Rai Sicilia, che ha scritto questo libro insieme a Mareme Cisse.
“Tutto è iniziato da una cena al suo ristorante per una serata Arci ad Agrigento nel 2019 – continua Lidia Tilotta -, poi un servizio per ‘Mediterraneo’, la nostra trasmissione nazionale. Mareme è arrivata qui in aereo, con suo figlio piccolo, per seguire il marito che viveva ad Agrigento, qui ha fatto altre tre figlie, al quarto figlio lui è tornato in Senegal. Mareme viene da una famiglia grande e unita. Sua madre commerciante, viaggiava per i paesi africani; il padre dipendente pubblico ed ex giocatore della nazionale del Senegal; la zia aveva un ristorante a Dakar. E tutti insieme vivevano nella loro grande casa a Dakar. L’unica migrazione dei suoi parenti è stata verso la Francia, ma anche la loro posizione economica e sociale era buona. Mareme è venuta in Italia, ma non avrebbe mai pensato di lasciare il Senegal. Dai suoi momenti difficili è uscita grazie alla cooperativa Al Kharub, e al suo ristorante Ginger, che lei definisce il suo quinto figlio.”
“Volevamo raccontare la sua storia, partendo dalle difficoltà – continua la giornalista -, avevamo pensato alle ricette affiancate al suo percorso di vita. Ad esempio la sua infanzia e l’adolescenza con i piatti senegalesi, l’arrivo ad Agrigento e le ricette che Mareme inizia a sperimentare qui, la sofferenza e i piatti dei momenti più bui, quindi il riscatto e l’inizio della contaminazione delle cucine senegalese, francese e siciliana. Ginger è un ristorante di alto livello e in cui la sperimentazione di Mareme è continua.”
Per la giornalista Lidia Tilotta questa è la terza volta dal 2016 che mette a disposizione la sua scrittura per raccontare la storia di un’altra persona. Prima il medico di Lampedusa che accoglieva e curava i migranti Pietro Bartolo in ‘Lacrime di sale’, pubblicato da Mondadori, tradotto in 15 Paesi, e diventato un Oscar bestsellers; poi Cristina Fazzi, mamma e medico di Enna in ‘Karibu’, che nel 2000 si è trasferita in Zambia, portando avanti progetti fondamentali a partire dal suo programma nutrizionale che insegna alle mamme nella foresta a coltivare e a preparare i cibi locali per svezzare i figli. E adesso Mareme Cisse con ‘Sogni di zenzero’.
“La storia è di Mareme e la scrittura è mia – spiega Tilotta -, anche se lei si racconta in prima persona. Non è stato facile entrare nella mente e nel cuore di una donna senegalese e musulmana. Ma dall’incontro e dal confronto è nata una storia bellissima e una profonda amicizia. Il prossimo anno vorremmo portare la sua storia nelle scuole per stimolare i giovani alla riflessione sull’importanza della conoscenza reciproca e dell’arricchimento culturale e sociale che ne scaturisce.”