PALERMO. “Il cibo biologico è buono e fa bene. Alla persona e all’ambiente”. Lo dice Biagio Barbagallo, presidente dell’associazione italiana agricoltura biologica (Aiab)-Sicilia, nell’intervista de “Il Mediterraneo 24” per la rubrica sull’agricoltura biologica che nasce dal progetto “A tavola come Bio comanda”, promosso dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Sicilia.
In questa intervista, il presidente ci parla dell’immensa risorsa che l’agricoltura biologica è e può ancor di più essere per la Sicilia, ma anche delle criticità strutturali che non consentono al settore di svilupparsi pienamente. Barbagallo, poi, parla delle azioni concrete che come movimento l’Aiab porta avanti per sensibilizzare consumatori, produttori e amministrazioni sulla convenienza del biologico, nonché delle buone pratiche che ciascuno di questi attori può sviluppare. Per una qualità della vita migliore, per la nostra salute, per la salute dell’ambiente e per la nostra economia regionale.
Presidente, qual è la situazione del biologico in Sicilia?
La Sicilia, se da un lato ha le connotazioni agronomiche e fisiche per essere un’isola d’eccellenza – si pensi a quest’isola al centro del Mediterraneo, con cinque microclimi diversi che consentono cinque zone di produzione specifiche: dalla costa alla montagna, passando per la pianura, la vallata e la collina – con il più alto volume di superficie in biologico, nell’ultimo anno e mezzo ha perso moltissime superfici agricole destinate alla coltivazione biologica: se fino a un paio di anni fa avevamo circa 380.000 ettari di coltivazione in biologico, oggi ne abbiamo circa 315.000, con una perdita in termini di superficie di oltre il 16%, dato considerevole se rapportato al 3% della Lombardia. La Sicilia ha questo triste primato prevalentemente legato a una serie di misure del Piano di sviluppo rurale (PSR), al pagamento agroambientale, ai ritardi negli ultimi bandi per l’agricoltura biologica.
Da un lato c’è l’attenzione alla sostenibilità ambientale, alla sostenibilità delle coltivazioni, con un riflesso diretto sull’alimentazione; dall’altro lato l’agricoltore è stimolato dai premi comunitari, perché in Sicilia soffriamo una serie di criticità legate a una commercializzazione che risente di canali commerciali un po’ critici a causa delle vie di comunicazione, della posizione geografica del sud Italia, elementi che pregiudicano la valorizzazione di un ottimo prodotto biologico nel posizionamento in un discreto livello commerciale. Eppure abbiamo dei microclimi e un clima in Sicilia che ci consentono di ottenere produzioni agroalimentari che nessun’altra Regione d’Italia potrebbe avere.
Secondo lei, com’è possibile rilanciare questa situazione?
Io sono convinto di un fatto: per rilanciare l’agricoltura biologica in Sicilia bisogna partire dal punto di vista dell’alimentazione, a partire dall’educazione e dalla formazione dei bambini nelle scuole, a cui bisogna insegnare un’alimentazione più naturale e sana, perché tutti i passaggi sono strettamente connessi fra loro: quando parliamo di alimentazione naturale, parliamo inevitabilmente di agricoltura biologica naturale, perché un buon cibo sano chiaramente viene fuori da un certo tipo di coltivazione naturale biologica. Questo ha un riflesso diretto sull’ambiente, migliorando le situazioni ambientali e climatiche. Ormai penso sia sotto gli occhi di tutti: piove quando non dovrebbe piovere, mentre non piove quando si aspetta l’acqua; le stagioni sono totalmente sfalsate e le mezze stagioni – non per dire frasi dette e ridette – non esistono più, con gli sbalzi climatici incredibili che non fanno bene né al bioritmo delle persone né alle condizioni dell’agricoltura.
Quindi ritengo che vada fatta un’opera di sensibilizzazione e formazione nelle scuole e di educazione culturale degli adulti attraverso convegni, seminari, sempre partendo dall’alimentazione.
E poi un intervento diretto può aversi anche attraverso gli agricoltori produttori: ritengo sia importantissimo un miglioramento nella piantumazione degli alberi, perché il processo di desertificazione avanza inesorabilmente, con la conseguente perdita di superficie agricola utilizzabile: o per l’ampliamento dei centri urbani o per l’abbandono delle campagne per la mancanza di ricambio generazionale. I fattori sono molteplici e certamente ci vuole un’attenzione da parte del legislatore, con una serie di impegni per un ritorno alla terra attraverso un tipo di agricoltura che attragga i giovani. Anche perché, quando vengono abbandonati i terreni, chiaramente aumentano gli incendi, nonché i processi di depauperamento e desertificazione.
Tutta una serie di altri fattori che poi aggravano la situazione.
Sì. Fra l’altro, quei pochi allevatori – ritengo siano pochi quelli che hanno ancora un legame con gli animali oltre che con la terra, visto che il livello zootecnico in Sicilia si riduce drasticamente di anno in anno – quando trovano delle superfici abbandonate, non delimitate o non ben definite, fanno fare agli animali da padrone, facendo peggiorare la degradazione dei suoli.
L’AIAB come sta operando in questo senso?
L’AIAB sta facendo una serie di attività di informazione e formazione attraverso le campagne associative per sensibilizzare consumatori, produttori e amministrazioni a un certo tipo di agricoltura.
Altro elemento importante è la creazione dei biodistretti: mettiamo a sistema una serie di soggetti (consumatori, produttori, amministrazioni), creando veri e propri “distretti del cibo biologico” per veicolare una serie di messaggi legati a una sana alimentazione che passi attraverso processi di agricoltura biologica, decisamente più virtuosi per quanto riguarda la sostenibilità delle aziende: sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica, visto che il biologico è maggiormente valorizzato da questo punto di vista.
Io mi occupo anche di grani antichi e la Sicilia, essendo una patria del grano duro, avrebbe un ulteriore elemento di maggior valore economico, nutritivo e, soprattutto di sostenibilità economica.
Quale sarebbe, secondo lei, una delle più grandi risorse a livello di agricoltura biologica per la Sicilia?
Noi abbiamo un’isola straordinaria in cui, avendo le cinque principali zone di produzione, le produzioni vanno diversificate in base al contesto in cui operiamo, perché, se fino a qualche anno fa tutto il centro dell’isola era vocato alla cerealicolture – l’ennese, l’agrigentino, il nisseno fin dai tempi dell’Impero romano erano considerati “granaio d’Italia” – anche per condizioni strutturali, dobbiamo necessariamente indirizzarci verso colture un po’ più rustiche che non necessitano di grandi interventi irrigui. Quindi certamente tutto il centro dell’isola è vocato alla cerealicoltura.
Poi c’è la parte occidentale dell’isola, il trapanese, fino a qualche anno fa legata al settore vitivinicolo, anche se da cinque/sei anni anche il settore vitivinicolo dell’Etna sta raggiungendo livelli incredibili quantitativi, ma anche qualitativi, con vini d’eccellenza presenti nei migliori mercati a livello mondiali. Quindi potremmo dire che il settore vitivinicolo sta facendo un po’ da traino per l’economia e la qualità siciliane.
Il settore agrumicolo nella parte orientale tra Catania e Siracusa era un altro settore d’eccellenza, ma ultimamente c’è stata anche lì una riduzione delle produzioni, in parte legata ad alcune patologie, alcune virosi, come il tristeza degli agrumi che ha decimato ettari ed ettari di produzioni agrumicole.
E poi abbiamo tutto il versante del ragusano, con Vittoria che la fa da padrone, per tutte le produzioni ortofrutticole.
Certamente, dovendo competere con la grande quantità di coltivazioni protette o forzate come nelle serre, il biologico ha qualche difficoltà, perché, quando parlo di biologico, parlo di biologico che rispetta i cicli della natura (non solo il ciclo biologico), che sia a campo aperto (quindi non in ambiente forzato), che dia prodotti stagionali (non fuori stagione).
La Sicilia può essere veramente, diversificando le produzioni per i singoli siti produttivi, un’isola volano di una buona agricoltura biologica, non solo a livello nazionale, ma a livello europeo.
Perché l’agricoltura biologica è importante a 360 gradi per i siciliani, dalla salute all’economia?
Noi soffriamo in Sicilia o di scarse informazioni o di confusione o, a volte, probabilmente di istinti schizofrenici: facciamo dei prodotti di eccellenza che purtroppo vengono valorizzati all’estero, per cui vi è un forte scambio commerciale con l’estero e poi in Sicilia l’attenzione del consumatore è verso prodotti di bassissima qualità.
Io ritengo che in Sicilia, per le nostre condizioni climatiche, possiamo essere una zona di eccellenza di produzioni biologiche che hanno non solo un effetto diretto sulla fisiologia del corpo umano, ma un riflesso indiretto sull’ambiente e sull’economia. Ogni Regione d’Italia – specialmente al sud, dove vi sono situazioni di criticità sanitarie – spende quasi la metà del proprio bilancio nella spesa sanitaria: se noi partiamo dall’alimentazione, per tutto quel meccanismo virtuoso a cui accennavo poc’anzi, certamente possiamo essere anche utili dal punto di vista dell’economia.