PALERMO. Può capitare a tutti nella vita di vivere un momento di sconforto e non trovare le forze per andare a lavorare, in questi casi è bello che qualcuno ti prenda per mano e ti accompagni in fondo al tunnel verso la luce della rinascita. Questo è uno dei tanti obiettivi che si è posta la Sartoria Sociale Al Revès di Palermo, da quando è nata, nel 2012, ma poi c’è certamente l’inclusione e l’ecologia.
A gestire lo spazio che è un bene confiscato alla mafia, in via Alfredo Casella, è una impresa sociale ma anche una cooperativa mista di tipo A e B e così praticamente accoglie e inserisce tra tirocini formativi e lavorativi persone svantaggiate o in giustizia riparativa, con problemi mentali, donne vittima di tratta, migranti e persone in difficoltà. Impegno che ne hanno reso possibile il riconoscimento come “buona pratica” alla recente Settimana sociale dei cattolici italiani, a Taranto, organizzata dalla Cei.
La sartoria è nata grazie ad un gruppo di persone che andarono in viaggio in America Latina, in quel viaggio incontrarono tanti giovani che lavoravano sul ciglio delle strade con la macchina da cucire. Questa semplicità del lavoro piacque molto e così al rientro in Italia il gruppo decise di far nascere una sartoria che potesse creare posti di lavoro per giovani migranti appena arrivati in città. Ad oggi la Sartoria Sociale conta 9 soci in cooperativa e una decina tra dipendenti e collaboratori e diversi volontari che hanno a cuore quel luogo, ma in dieci anni è stata tantissima la gente che è stata aiutata a rimettersi in piedi, e a ripartire con le proprie gambe.
L’attività all’interno della sartoria si divide in molteplici parti, c’è la sartoria vera e propria quindi la parte di produzione, la parte di vendita e quindi lo shop e poi c’è la parte di sistemazione e cernita degli abiti vintage che verranno trasformati in altro oppure lavati e stirati e rimessi in vendita.
«Il nostro è un ambiente molto protetto – racconta Roberta Autoritano, 29 anni, entrata per fare un tirocinio e poi rimasta come socia della cooperativa -. Stabiliamo degli obiettivi da raggiungere in condivisione con la persona che prendiamo in carico e così responsabilizziamo la gente e diamo fiducia nelle loro capacità. Un’altra cosa alla quale teniamo molto è l’anima ambientale della Sartoria. Per promuovere un modello economia circolare, realizziamo tanti prodotti con tessuti di scarto e promuoviamo acquisti di abiti vintage. La seconda industria più inquinante al mondo dopo quella petrolifera è quella tessile. Di recente abbiamo incrementato le attività e abbiamo un nuovo segmento di impresa, stampiamo su tessuti naturali, e riusciamo anche ad esportare al nord».
La Sartoria Sociale non è solo un luogo fisico ma anche in movimento grazie alla motoape adibita a sartoria ambulante, con l’obiettivo di fare laboratori, essere presenti sul territorio. «E’ un luogo sempre il fermento con tante persone che ci lavorano dentro – continua Roberta -, di certo non è un asettico luogo di lavoro. Piuttosto mi piace dire che ha un’anima. Essere soci qui è davvero molto impegnativo, abbiamo tante responsabilità. La parte più bella è questa sorta di riabilitazione che offriamo a tutti, il sostegno che sappiamo dare a chi è in difficoltà. Basta veramente poco per aiutare qualcuno ma bisogna volerlo e impegnarsi per ottenerlo. E non c’è ricompensa più bella di vedere rinascere una persona».