PALERMO. È andato in scena, nei giorni scorsi, al Teatro Jolly, a Palermo, “Il barbone di Partanna”, un’opera scritta e diretta da Anna Mauro: uno spettacolo di teatro e musica contemporanea, sul tema dell’apparenza e della dimenticanza. L’apparenza di certuni (politici, cittadini) che sono pronti a mettersi in bella mostra, con eventi a favore dei clochardes, al solo fine di farsi pubblicità; e la dimenticanza, frequentissima, dei più che non prestano attenzione alle decine di vite sotterrane che incontrano per la via: i “fratelli ultimi”.
I fratelli, cioè, di strada, che sostano ai semafori, agli angoli delle Chiese. Che si trovano, spesso, per terra, fintamente addormentati, per non aver anche il dramma di vegliare sui loro simili: umani sì, ma diversi da loro. Puliti, pettinati, incravattati, sempre di corsa, degli umani che non sanno più cosa sia la carità, l’amore, e dedicare del tempo a qualcuno che non sia il proprio specchio.
Eppure, tutti possiamo sentirci (se non essere) ultimi. In fondo, tutti lo siamo, se non, sufficientemente, visti, ascoltati, capiti, apprezzati. Anche se fossimo degli spumeggianti, scherzosi, simpatici uomini, come il prof. Marcello Ruggiero, fra gli attori-barboni, dello spettacolo. In tanti siamo abituati alla sua goliardia, ma non abbiamo voluto lasciarlo “solo” in scena, e ci siamo uniti al plauso generale: grandiosa interpretazione!
“Noi attori, ed in particolare quelli che come me – ci racconta proprio Marcello – fanno parte dei laboratori di ricerca e sperimentazione di “RADICI DI SOLE” di Anna Mauro, siamo ormai abituati a “vivere” meravigliosamente sul palco, in una continua “introspezione”, dentro ogni personaggio e ruolo che Anna “ci cuce” addosso, rendendo sempre contemporanee le sue Opere Teatrali”. “Eppure, questa volta, per me, è stata “la mia prima volta”, in un ruolo drammatico. E per chi mi conosce, teatralmente parlando, non è stato affatto semplice questo passaggio dalla comicità al dramma”.
Dalla platea, abbiamo inteso il suo e lo sforzo dei colleghi: d’esser seri, dentro personaggi in balia degli eventi, dentro a una vita solo capitata. Una vita da “ombre nella notte, negli angoli, sotto i ponti, nei metrò”. Una vita “da statue, mimetizzate”. Una vita da “nessuno”, “nessuno da ricordare, da rimpiangere”.
“E se capitasse a tuo figlio?” – ha detto, a un tratto, uno degli attori-barboni – “Se capitasse a tuo figlio, di svegliarsi una mattina, con la testa che tutto d’un tratto fa “boom”!? E impazzisce?”. Se capitasse a nostro figlio? Che risposta dare? Credo, personalmente, che non si possa morire di pazzia. Ma si può divenire pazzi, non amati.
Grazie, dunque, ad Anna Mauro per i temi esistenziali e d’emarginazione sociale scelti e portati in scena. Per averci fatto intendere che le risate che solitamente lei suscita nascondono anche delle lacrime: una grande interiorità. E grazie anche a loro: ai “veri” fratelli ultimi che incontriamo per la via, che ci ricordano di quanto sia vile la ricchezza se non condivisa, disonesto lo sguardo su di loro se non diviene carezza, inopportuno anche parlarne se non abbiamo mai sperimentato l’esserlo, ultimi. Come ha fatto fratel Biagio Conte, che ha dato la sua vita per loro.