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giovedì, 20 Marzo 2025
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Testimonianze dal fronte siriano e tunisino per una pace possibile

“Nonostante i drammi non perdiamo la speranza”, dicono il nunzio apostolico della Siria Zenari, il vescovo di Tunisi Antoniazzi e mons. Lorefice

Serena Termini
Serena Termini
È nata il 5 marzo del’73 e ha tre figli. Dal 2005 è stata la corrispondente dell'agenzia di stampa nazionale Redattore Sociale con cui oggi collabora. Da sempre, ha avuto la passione per la lettura e la scrittura. Ha compiuto studi giuridici e sociologici che hanno affinato la sua competenza sociale, facendole scegliere di diventare una giornalista. Ciò che preferisce della sua professione è la possibilità di ascoltare la gente andando al di là delle prime apparenze: "fare giornalismo può diventare un esercizio di libertà solo se ti permettono di farlo".
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PALERMO – In un momento della storia dell’umanità segnato da guerre, conflitti e lacerazioni, l’impegno a essere tutti quanti, nessuno escluso,  portatori di pace e di armonia è una necessità ineludibile. I drammi umani del Mediterraneo non devono fare morire la speranza che va alimentata continuamente attraverso aiuti e progetti. A dirlo sono stati, ieri sera in Cattedrale, il vescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, il cardinale Mario Zenari e l’arcivescovo Corrado Lorefice. L’incontro su “La testimonianza del Vangelo dal Mediterraneo, oggi” è stata un’appendice della XVIII edizione del Premio Internazionale Beato Padre Pino Puglisi, ideato da p. Antonio Garau e avvenuto, la scorsa domenica, con la presenza del presidente Sergio Mattarella. I due prelati sono stati premiati insieme al giornalista Fabio Zavattaro che ieri ha moderato l’incontro.

“Sono in Siria da 15 anni – ha detto il cardinale Mario Zenari -. In questi anni ho vissuto l’esperienza di camminare sulla via dolorosa, una lunga via crucis che si snoda per chilometri e chilometri. In una Paese completamente distrutto, in cui manca tutto, ho visto scappare migliaia di persone. Ricordo, in maniera viva e dolorosa, quando sono andato a trovare i bambini feriti dalle schegge delle armi; alcuni avevano gli arti amputati. La Siria è un mosaico di etnie e religioni abbastanza esemplare in cui, nonostante i drammi quotidiani, ci si rispetta. In 13 anni di guerra circa, sono partiti due terzi dei cristiani. Questo ci addolora perchè i cristiani sono come una finestra aperta sul mondo. Partono molti giovani; tanta gente qualificata è andata via creando grandi vuoti. Nel gennaio 2017, dopo la terribile battaglia di Aleppo, c’erano 4mila bambini che vagavano come dei randagi, morti di fame e freddo. Allora, insieme ad una comunità di religiosi e le autorità musulmane abbiamo accolto alcuni di loro, dando loro, per prima cosa, un nome. Lo scorso febbraio sono andato a trovare questi minori  – che oggi hanno 15 anni – vedendoli rinati. E’ stato emozionante ascoltare i loro desideri di voler fare chi l’ingegnere, chi il medico o lo studioso di lingue arabe. Ecco, la speranza deve partire anche da questa esperienza”.

“Anche se in Tunisia siamo pochi cristiani – ha raccontato il vescovo Ilario Antoniazzi – l’importante è, sempre cercare di essere luce del mondo e sale della terra. Siamo sempre in contatto continuo con i musulmani tunisini che, diversamente dagli altri paesi vicini, praticano un Islam aperto. Tra noi e loro c’è dialogo in amicizia, nella carità e nell’aiuto fraterno.  Aiutiamo i bisognosi e  assistiamo i detenuti; non chiedendo che religione hanno ma qual è la loro sofferenza. Agiamo in nome dell’amore verso un unico Dio. Oggi, non so se è più grande il cimitero del mare Mediterraneo o quello di tutte le persone che muoiono nel deserto del Sahara. In Tunisia è un dramma vedere tutte le persone che partono; sono per lo più stranieri; giovani diplomati che rendono i loro Paesi sempre più poveri. Abbiamo tanti sud-sahariani cristiani. Partono sognando un futuro diverso in Italia ed Europa. Proviamo, senza molti risultati, a convincerne qualcuno a restare con noi oppure a ritornare nei loro Paesi. Accogliamo sempre tutti loro e, se sono decisi, li aiutiamo pure a partire. La nostra Caritas è formata da tanti subsahariani. La situazione non è facile ma, ogni giorno ci impegniamo a dare la nostra testimonianza di fede”.

“Sono davvero molto grato per la condivisione di queste importanti  testimonianze del Mediterraneo – ha concluso l’arcivescovo Corrado Lorefice -. Il Vangelo ci aiuta e ci dà sempre luce rispetto al momento storico che viviamo. Nonostante i diversi drammi, dai loro racconti, riusciamo a cogliere un segno di speranza. L’immigrazione è un viaggio umano di volti, vite, storie, vicende, attese e disattese. Da cristiani, il nostro sguardo è rivolto a loro con un cuore capace di scorgere nuove vie. Oggi, dentro e fuori le nostre comunità, ci sono cuori irrorati dalla fede e altri irrorati da una vera onestà umanità che fa avere quella sensibilità capace di avere tanta passione morale. E possibile che oggi si possa ancora fare qualcosa come ci diceva Puglisi. Esiste tanta energia fatta di parola vivente. C’è spazio nel cuore di tante persone che oggi si impegnano per il bene con amore”. 

Domenica scorsa, a ricevere il premio internazionale Pino Puglisi sono stati: il vescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, il vaticanista Ignazio Ingrao e il giornalista Fabio Zavattaro, Daniela Pompei (responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati ), Lia Sava (procuratore generale della Corte di Appello di Palermo) e il cardinale Mario Zenari.

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