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sabato, 22 Marzo 2025
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Il cappellano del Pagliarelli: “Basta suicidi in carcere”

Fra' Loris D'Alessandro descrive la realtà nell'istituto di pena e l'impegno dei volontari in favore dei detenuti. E, poi, lancia un appello

Benedetto Frontini
Benedetto Frontini
Perito elettronico, con una formazione in ingegneria elettronica. Ha lavorato nel mondo della televisione privata come tecnico e operatore. Nel 1984 l'approdo a TGS. Per il Giornale di Sicilia ha seguito il passaggio tecnologico. Dal luglio 2020 si dedica a tempo pieno alla famiglia e alla sua grande passione di videomaker, anche per "Il Mediterraneo 24"
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PALERMO. Non nasconde la sua preoccupazione fra Loris D’Alessandro, Cappellano del carcere di Pagliarelli di Palermo, per la situazione dei suicidi in carcere; lo scorso anno si è chiuso tragicamente e quello nuovo è già iniziato con delle cifre allarmanti, perché oltre ai detenuti anche il personale che lavora dentro gli istituti penitenziari compie l’estremo gesto. “È un fallimento per noi operatori quando avvengono fatti simili! – dice -. Io sono coadiuvato da altri due sacerdoti, poi abbiamo una squadra di 20 volontari, in più ci sono un gruppo di suore di Madre Teresa è un’associazione di carità del quartiere Noce che si occupa della distribuzione del vestiario per tutti quei detenuti o detenute, che non hanno nessuno che possa loro fornire quest’ultimo. Tutti assieme facciamo una bella squadra che ci riempie le giornate di attività ricreative di sostegno morale, psicologico e religioso”.

Per il frate “il personale che lavora in carcere è paragonabile a degli eroi, perché fa un lavoro eccellente, ma spesso lo stress e la tensione è tale che un fisico e una psiche già compromessa da altri fattori può cedere”. “Bisogna trovare assolutamente delle soluzioni per arginare il fenomeno”, continua fra Loris. “Ad esempio per chi ha problemi psichiatrici o di dipendenza di droghe, il carcere lo ritengo il posto più sbagliato. Infatti occorre indirizzare loro presso delle case di accoglienza idonee a sostenere queste situazioni e sicuramente questo alleggerirebbe almeno del 30% la popolazione delle carceri”. “Chi soffre di queste patologie è uno scompenso per chi lavora e anche per i compagni di cella, perché sono delle persone instabili, crea scompiglio e confusione, andando ad alterare tutti quelli che sono gli equilibri della sezione e impegnando moltissimo gli agenti per delle situazioni che tolgono tempo a quella che dovrebbe essere la loro normale attività”.

Un’immagine ritratta da fra’ Loris resto impressa nell’immaginario: “Spesso sono gli agenti che allertati dai compagni di cella o da un giro di ispezione tolgono il lenzuolo dal collo di questi poveri fratelli che tentano il gesto estremo. Specialmente a chi è negata la visita in carcere cade in una situazione di grave depressione, perché, nonostante l’aiuto che può da noi trovare e da tutto lo staff, si sente abbandonato e tenta il gesto estremo”.

Soffermandosi sul profilo degli agenti, il cappellano spiega che “sono padri, madri e figli e per loro vivere una situazione simile genera uno stress psicologico notevole e chi già è gravato da situazioni personali può tentare il gesto estremo”. “La vita è sacra ed è inammissibile perderla in un posto dove si dovrebbe ricevere una riabilitazione alla vita normale, dopo aver scontato una pena”. Infine, l’invito di fra Loris alle istituzioni, a cominciare dal ministro del ministero della Giustizia e a tutto il settore competente, a “trovare delle soluzioni idonee a fermare questo fenomeno divenuto insostenibile, altrimenti come detto, sarà un fallimento e ci ritroveremo soltanto a fare la conta dei suicidi”. “Il detenuto in carcere ha molto tempo per riflettere e spesso si avvicina, grazie al nostro sostegno, alla parola del Signore trovando l’abbraccio e conforto di quest’ultimo”.

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