PALERMO. Il piano davanti all’infermeria, ogni giorno che passa, conta sempre più persone. Arrivano da tutta la Sicilia: si fermano a pregare davanti la porta di fratel Biagio nella speranza di vederlo anche solo per quei trenta secondi possibili. Ci sono giornalisti con la penna in mano, fotografi e cineoperatori di emittenti televisive locali, sempre più numerosi ormai da un paio di giorni. Ci sono sacerdoti, frati e suore. L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, è andato nei giorni scorsi a trovare il fondatore della Missione Speranza e Carità. E stamani è tornato. Ha celebrato messa nel cortile attiguo alla stanza in cui riposa. Non sono mancati il sindaco del capoluogo siciliano, Roberto Lagalla, e l’ex Leoluca Orlando, di cui ancora a memoria dei più resta, come un fotogramma, la posa assunta accanto a fratel Biagio che digiunava da giorni, sotto il colonnato delle Poste centrali in via Roma.
Allora, i primi mesi del 2018, molti erano accorsi per manifestare solidarietà a quell’uomo che, invocando casa e lavoro per tutti, se ne stava raggomitolato in una scatola di cartone con qualche immagine di santi e qualche della Madonna che anche adesso sovrastano il suo capezzale.
Allora, ma anche adesso. Si sono rincorse le notizie sul web, sui social è stato uno schioppiettìo di notizie, di commenti, di post condivisi e da condividere. Allora, ma anche adesso il piccolo servo inutile, come lui stesso vuole definirsi, riesce a convocare attorno a sè numerosi cittadini e a farne comunità.
Dal forno alla cucina, le opere nella cittadella di via Decollati
I lavori, però, anche in questi giorni straordinari devono continuare. I poveri lo sono ogni giorno. I poveri che, anche oggi si alzano dai letti del grande dormitorio, devono mangiare.
A preparare per loro Antonio, che cucina per settanta o ottanta persone al giorno. “Oggi – dice – la pasta è con le verdure, perchè dopo averle raccolte non potevamo lasciare che andassero a male”. Sono verdure che arrivano dai supermercati che periodicamente donano alla Cittadella del Povero quanto è necessario per apparecchiare la tavola. Arrivano anche da privati che nel proprio orto hanno quell’in più da destinare ai poveri. Arrivano dall’orto della comunità, quello di Tagliavia, di Godrano, di Scopello, coltivato ad ortaggi, grano e ulivi.
La mensa confina con la Chiesa costruita negli anni grazie alle donazioni. Si alza alta e custodisce nell’ostensorio, sotto la policromata raffigurazione dell’ospitalità di Abramo l’Eucaristia. Fratel Biagio ha voluto che la chiesa fosse eretta lì e che il muro dell’altare confinasse con quello della cucina. “E’ Gesù che nutre”: dice Antonio che da quindici anni è nella comunità di via Decollati, 29.
La mensa antistante la cucina è ampia e intorno alle 12 vengono serviti i primi pasti. Si siedono quelli che sono accolti nella struttura e che cercano da lì di ripartire, di ricominciare, magari imparando un mestiere che gli consenta quel guadagno utile a vivere.
Poco lontano dalla Chiesa, in cui ogni domenica viene celebrata la Messa e poco lontano dalla Mensa in cui ogni giorno è servito il cibo, una serie di edifici. Sono stati pensati – continua Giuseppe, da un anno e mezzo impegnato in comunità – per consentire di realizzare quello che potesse essere utile.
Il panificio, in cui accoglie Isaam, sforna il pane: la farina è quella del mulino della Cittadella che usa il grano raccolto nei campi di Tagliavia e custodito nei silos.
Accanto al panificio, il laboratorio di ceramica, la falegnameria che si tiene a custode l’immagine di san Giuseppe, il capanno che ospita Giovanni come elettricista e quello in cui Paolo con grande orgoglio mostra la caldaia di duemila litri e gli utensili utili per i lavori idraulici. A completare l’officina del fabbro, la lavanderia, la sartoria. E, l’infermeria, dove riposa fratel Biagio, la stessa che solitamente vede impegnati con scadenza regolare medici e dentisti.
Roberto, responsabile della struttura da qualche anno mostra con la pacata intraprendenza di chi sa cosa fare, ma quanto impegnativo sia farlo, l’edificio che ospiterà, sullo spazio prima dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri di via Decollati, l’ospedale.
Non manca quasi nulla: una cittadella appunto. Una città abitata dai poveri che non ricevono soltanto il pacco con la pasta, la famosa scatoletta di tonno, il latte e i biscotti; ma ricevono molto di più, ricevono un lavoro, con cui dignitosamente, provvedere non solo al proprio bisogno ma a quello di altri. Ricevono la possibilità di accogliere un dono ma di farlo e di imparare a farlo, di essere accolti e di accogliere, di dire grazie e di averlo detto e non è poco.
Una cittadella, quella del povero, che si fa comunità politicamente significativa accanto alle altre comunità, quelle nate in via Archirafi, in via Garibaldi, in via Villa Florio, ad Enna, a Pollina, per volontà di fratel Biagio, di padre Pino, e di tutti quelli che hanno creduto; che sono adesso a racconto di un’opera su cui nessuno avrebbe puntato trenta e passi anni fa, quando il nostro Biagio trascorreva le notti nella stazione centrale di Palermo, assistendo i poveri, dormendo con loro.
Allora portava con la cinquecento cibo e coperte. Da allora, ed era più di trenta anni fa, il sogno ha preso di anno in anno sempre più forma, contro le lungaggini della burocrazia e anche contro approssimate promesse di chi poteva; è cresciuto perché, come si legge su un pannello, a fianco della foto di una radice di albero, simbolo del progetto di fratel Biagio – “anche dalle macerie può sempre nascere un germoglio di Speranza, grazie all’aiuto dei fratelli”.