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giovedì, 20 Marzo 2025
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Dal forno alla falegnameria, una cittadella autosufficiente: viaggio nella Missione di Biagio Conte

Mentre il fondatore vive la sua condizione di malattia grave, i tanti poveri accolti oltre nella preghiera sono impegnati a portare avanti i servizi per i tanti fratelli con cui vivono nella struttura di via Decollati, a Palermo. Una vera e propria città in cui non manca nulla: dalla cucina alla lavanderia

Consuelo Maria Valenza
Consuelo Maria Valenza
Insegnante, laureata in Filosofia e Scienze della formazione Primaria all'Università degli Studi di Palermo. Ha lavorato per dodici anni presso l'ufficio stampa della Conferenza Episcopale Siciliana. Collabora con diverse riviste e giornali. Cura la comunicazione e la pubblicità di attività commerciali e non. Scrive di sociale per "Il Mediterraneo 24".
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PALERMO. Il piano davanti all’infermeria, ogni giorno​ che passa, conta sempre più persone. Arrivano da tutta la Sicilia: si fermano a pregare davanti la porta di fratel Biagio nella speranza di vederlo anche solo per quei trenta secondi possibili. Ci sono giornalisti con la penna in mano, fotografi e cineoperatori di emittenti televisive locali, sempre più numerosi ormai da un paio di giorni. Ci sono sacerdoti, frati e suore. L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, è andato nei giorni scorsi a trovare il fondatore della Missione Speranza e Carità. E stamani è tornato. Ha celebrato messa nel cortile attiguo alla stanza in cui riposa. Non sono mancati il sindaco del capoluogo siciliano, Roberto Lagalla, e l’ex Leoluca Orlando, di cui ancora a memoria dei più resta, come un fotogramma, la posa assunta accanto a fratel Biagio che digiunava da giorni, sotto il colonnato delle Poste centrali in via Roma.​

Allora, i primi mesi del 2018, molti erano accorsi per manifestare solidarietà a quell’uomo che, invocando casa e lavoro per tutti, se ne stava raggomitolato in una scatola di cartone con qualche immagine di santi e qualche della Madonna che anche adesso sovrastano il suo capezzale.

Allora, ma anche adesso. Si sono rincorse le notizie sul web, sui social è stato uno schioppiettìo di notizie, di commenti, di post condivisi e da condividere. Allora, ma anche adesso il piccolo servo inutile, come lui stesso vuole definirsi, riesce a convocare attorno a sè numerosi cittadini e a farne comunità.​

Dal forno alla cucina, le opere nella cittadella di via Decollati

I lavori, però, anche in questi giorni straordinari devono continuare.​ I poveri lo sono ogni giorno. I poveri che, anche oggi si alzano dai letti del grande dormitorio,​ devono mangiare.​

A preparare per loro Antonio, che cucina per settanta o ottanta persone al giorno. “Oggi – dice – la pasta è con le verdure, perchè dopo averle raccolte non potevamo lasciare che andassero a male”. Sono verdure che arrivano dai supermercati che periodicamente donano alla Cittadella del Povero quanto è necessario per apparecchiare la tavola. Arrivano anche da privati che nel proprio orto hanno quell’in più da destinare ai poveri. Arrivano dall’orto della comunità, quello di​ Tagliavia, di Godrano, di Scopello, coltivato ad ortaggi, grano e ulivi.

La mensa confina con la Chiesa costruita negli anni grazie alle donazioni. Si alza alta e custodisce nell’ostensorio, sotto la policromata raffigurazione dell’ospitalità di Abramo l’Eucaristia. Fratel Biagio ha voluto che la chiesa fosse eretta lì e che il muro dell’altare confinasse con quello della cucina. “E’ Gesù che nutre”: dice Antonio che da quindici anni è nella comunità di via Decollati, 29.​


La mensa antistante la cucina è ampia e intorno alle 12 vengono serviti i primi pasti. Si siedono quelli che sono accolti nella struttura e che cercano da lì di ripartire, di ricominciare, magari imparando un mestiere che gli consenta quel guadagno utile a vivere.

Poco lontano dalla Chiesa, in cui ogni domenica viene celebrata la Messa e poco lontano dalla Mensa in cui ogni giorno è servito il cibo, una serie di edifici.​ Sono stati pensati – continua Giuseppe, da un anno e mezzo impegnato in comunità – per consentire di realizzare quello che potesse essere utile.

Il panificio, in cui accoglie Isaam, sforna il pane: la farina è quella del mulino della Cittadella che usa il grano raccolto nei campi di Tagliavia e custodito nei silos.

Accanto al panificio, il laboratorio di ceramica, la falegnameria che si tiene a custode l’immagine di san Giuseppe, il capanno che ospita Giovanni come elettricista e quello in cui Paolo con grande orgoglio mostra la caldaia di duemila litri e gli utensili utili per i lavori idraulici. A completare l’officina del fabbro, la lavanderia, la sartoria. E, l’infermeria, dove riposa fratel Biagio, la stessa che solitamente vede impegnati con scadenza regolare medici e dentisti.

Roberto, responsabile della struttura da qualche anno mostra con la pacata intraprendenza di chi sa cosa fare, ma quanto impegnativo sia farlo, l’edificio che ospiterà, sullo spazio prima dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri di via Decollati, l’ospedale.​

Non manca quasi nulla: una cittadella appunto. Una città abitata dai poveri che non ricevono soltanto il pacco con la pasta, la famosa scatoletta di tonno, il latte e i biscotti; ma ricevono molto di più, ricevono un lavoro, con cui dignitosamente, provvedere non solo al proprio bisogno ma a quello di altri. Ricevono la possibilità di accogliere un dono ma di farlo e di imparare a farlo, di essere accolti e di accogliere, di dire grazie e di averlo detto e non è poco.

Una cittadella, quella del povero, che si fa comunità politicamente significativa accanto alle altre comunità, quelle nate in via Archirafi, in via Garibaldi, in via Villa Florio, ad Enna, a Pollina, per volontà di fratel​ Biagio, di padre Pino, e di tutti quelli che hanno creduto; che sono adesso a racconto di un’opera su cui nessuno avrebbe puntato trenta e passi anni fa, quando il nostro Biagio trascorreva le notti nella stazione centrale di Palermo, assistendo i poveri, dormendo con loro.​

Allora portava con la cinquecento cibo e coperte. Da allora, ed era più di trenta anni fa, il sogno ha preso di anno in anno sempre più forma, contro le lungaggini della burocrazia e anche contro approssimate promesse di chi poteva; è cresciuto perché, come si legge su un pannello, a fianco della foto di una radice di albero, simbolo del progetto di fratel Biagio – “anche dalle macerie può sempre nascere un germoglio di Speranza, grazie all’aiuto dei fratelli”.

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