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domenica, 27 Aprile 2025
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Maria Rita, il giornalismo d’inchiesta e la sua tesi su Ilaria Alpi e Anna Politkovskaja

La ragazza racconta le due giornaliste come dei modelli da seguire: due donne, dedite alla giustizia e alla verità, sfidano il potere nonostante tutti i rischi.

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Il video di Benedetto Frontini

di Federica Picone
PIANA DEGLI ALBANESI

Sulle rive del lago di Piana degli Albanesi, Maria Rita Zaka, dottoressa magistrale in comunicazione pubblica d’impresa e pubblicità, decide di condividere la sua tesi dal titolo “Quando il giornalismo d’inchiesta sfida il potere: il caso di Ilaria Alpi e Anna Politkovskaja”, mossa dalla voglia di far conoscere al mondo queste due grandi giornaliste accomunate da un forte senso della giustizia ma che, purtroppo, hanno perso la vita per conseguirla.

Ho voluto porre l’accento sul loro modo di vedere la vita e sul loro essere donne, la loro forte empatia verso quelle fasce di popolazione più deboli nella speranza di apportare loro dei miglioramenti alla condizione in cui si trovavano a vive, sfruttando quindi la loro posizione privilegiata da giornaliste per dare loro una voce.” Questi sono i colori che Maria Rita Zaka sceglie per dipingere i ritratti di queste donne:

Ilaria Alpi, giornalista e fotoreporter italiana, lavorava come inviata per il TG3 a Mogadiscio, in Somalia, dal dicembre 1992 a marzo 1994. Qui instaurò forti legami: entrò a far parte di un’associazione per i diritti delle donne somale, interessandosi in particolar modo alla cruenta pratica dell’infibulazione; loro costituiranno le maggiori fonti di informazione per le sue inchieste. Ma il motivo principale della sua presenza in Somalia era un altro: seguire i risvolti del contingente militare italiano ITALFOR-IBIS che aveva aderito alla missione umanitaria Restore Hope, promossa dalle Nazioni Unite, per apportare aiuti di prima necessità alla popolazione somala, vessati da anni di guerra civile. Durante la sua permanenza conduce una serie di inchieste, tra cui il sospetto di alcuni traffici illeciti di armi e rifiuti tossici dove sembrava prendere parte anche la cooperazione italiana; inchiesta che purtroppo non riuscirà a rendere pubblica perché verrà uccisa, insieme al suo operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994: giorno in cui avrebbe dovuto riferire al suo capo redattore le importanti notizie di cui era a conoscenza.

Anna Politkovskaja, giornalista russa, si trovava invece in Cecenia e anche lei legherà tanto con la popolazione locale; infatti, la fiducia nei suoi confronti è stata tale da essere eletta mediatrice durante le estenuanti trattative tra i sequestratori Ceceni e le truppe russe. La sua presenza nel territorio ceceno, dal 1999, era dovuta alla Novaja Gazeta, la redazione per cui prestava servizio, per documentare i risvolti della seconda guerra russo-cecena. Durante la sua permanenza viene a conoscenza dei crimini di guerra commessi dalle truppe russe nei confronti dei civili ceceni; raccoglierà una serie di testimonianze di torture e violenze atroci che sfoceranno poi in aperte denunce. A causa di queste denunce verrà minacciata di morte più volte, verrà rapita e torturata, subirà anche un tentativo di avvelenamento recandosi presso la scuola di Beslan per tentare una mediazione con i sequestratori che avevano preso in ostaggio la scuola con più di mille civili, tra cui la maggior parte bambini. Nonostante tutte queste intimidazioni lei non retrocede e continua a seguire i suoi ideali: continuerà a denunciare le ingiustizie che questi civili erano costretti a subire. Purtroppo, verrà uccisa il 7 ottobre del 2006 nell’ascensore del suo appartamento.

La loro è stata una lotta continua contro la menzogna e l’ingiustizia, contro tutti coloro che non volevano certe verità scomode venissero a galla; gli stessi che dopo averle uccise si sono impegnati a mettere in atto una serie di depistaggi, tra cui smarrimenti di videocassette, documenti, e l’ascolto in aula di falsi testimoni per non far smascherare i veri colpevoli.

Maria Rita ha voluto anche sottolineare il rapporto di queste donne con le videocamere: non desideravano apparire e proprio per questo non badavano particolarmente all’apparenza, questo perché era la notizia a dover attirare l’attenzione, non la loro presenza sugli schermi; loro dovevano solo documentare i fatti.

Queste due donne diventano così mezzo per denunciare la superficialità dell’attuale società: “Ritengo – dichiara la dottoressa – che siano da eleggere a modelli di vita da seguire soprattutto per le nuove generazioni, in quanto siamo sempre più bombardati da messaggi per lo più vuoti e basati sull’apparenza e la vanità delle cose

La ricerca della giustizia e della verità dovrebbe essere l’obiettivo principale nelle relazioni, non solo tra i singoli individui, ma anche tra le nazioni: le guerre sono frutto di un odio nato da profondi risentimenti non affrontati, che esplodono poi negli stessi scenari. Le immagini che vediamo dell’Ucraina, della Palestina, di Israele, così come in tutti i conflitti, non sono molto differenti dalle situazioni vissute dai bambini della scuola di Beslan; sono scene di orrore che purtroppo si ripetono. La storia ci fa capire che le vittime sono sempre i bambini, perché, pur non avendo alcuna colpa in quanto nati puri, senza nazionalità e senza religione, sono sempre quelli che pagano maggiormente la crudeltà degli adulti.

Questi risentimenti – conclude così Maria Rita – andrebbero sanati tramite la volontà di ascoltarci, comprenderci e perdonarci, attraverso il dialogo, la non violenza e il buonsenso. I bambini che ridono e giocano devono spazzare via i demoni del nazionalismo e del suprematismo, facendoci riconoscere tutti in una stessa famiglia, quella umana. Le religioni, anziché dividerci, ci devono unire nell’amore e nella coscienza di essere figli di un unico Dio padre, che vuole solamente il bene e la felicità per i suoi figli. Ilaria Alpi e Anna Politkovskaja sono morte per aiutare gente di nazionalità e fede diversa dalla loro in nome di quella dignità umana che sta ben al di sopra di bandiere, colori e confini.”

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