PALERMO. Il 18 aprile del 2015 persero la vita più di 1100 persone nel tentativo di raggiungere le coste italiane a bordo di un peschereccio di nazionalità eritrea, fu e rimane la più grande strage di migranti mai avvenuta nel Mediterraneo. Il peschereccio affondò a circa 100 chilometri a nord della costa libica e a 200 a sud dell’isola di Lampedusa.
A seguito di quella tragedia, si decise di recuperare il relitto ed i corpi che esso conteneva dal fondo del mare; questi ultimi sono sepolti nei cimiteri italiani e maltesi mentre il relitto si trova ospitato, esposto alle intemperie, nel porto di Augusta. Il Comitato 18 Aprile (che accoglie anche l’associazione Stella Maris presieduta dal parroco Don Giuseppe Mazzotta) si sta adoperando affinché si avvii un’azione mirata a preservare l’imbarcazione e con essa la memoria della tragedia.
Il Comitato organizza proprio oggi – in collaborazione con l’Arcidiocesi di Siracusa, la Guardia costiera, la Stella Maris l’Autorità di sistema portuale del mar di Sicilia orientale, il Comitato Welfare, la Fondazione Migrantes e la Caritas Diocesana – una giornata commemorativa in memoria del naufragio: tra le iniziative, una Celebrazione Eucaristica alle 18.30 davanti al relitto e il convegno (ore 9.00, Chiesa di Cristo Re di Augusta), “Il barcone, grido per il nostro mondo malato, La sua funzione pedagogica”, che vedrà tra i relatori monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara, presidente della Cemi e della fondazione Migrantes.
L’Arcivescovo di Palermo, Monsignor Corrado Lorefice, invita a ricordare nella preghiera quelle vittime e tutti i naufraghi del Mediterraneo, definito da Papa Francesco “il più grande cimitero d’Europa”. E ripropone, perché nulla è cambiato, le riflessioni fatte nel luglio del 2020, in un discorso rivolto ai palermitani.
“Il Mediterraneo – sostiene Lorefice – è lo stesso mare nel quale oggi finiscono le vite e le speranza di tante donne e di tanti uomini dell’Africa e del Medio Oriente, spinti dalla fame e dalla guerra verso il nostro Occidente e sottoposti per questo ad un esodo disumano: abbandonati nel deserto, catturati e torturati nei campi di concentramento libici, lasciati morire in mare o magari crudelmente respinti. […] Basta con gli stratagemmi internazionali, con i respingimenti, basta con le leggi omicide. L’inferno per questi nostri fratelli è diventato questo «mare salato» per le lacrime dei disperati che vi sono affondati senza riparo, senza una mano che li soccorresse, nella distruzione di ogni speranza”. E chiede il sostegno di santa Rosalia, “perché il mare di Palermo, il nostro Mediterraneo, torni ad essere uno spazio di pace e di concordia tra i popoli. Un mare dolce, un mare ospitale”.