PALERMO. Volti, nomi, storie, lingue. Mohamed, gambiano, parla jola, mandinka, wolof e inglese. La sua esperienza libica si intreccia ai nuovi percorsi individuali in Sicilia, nel libro dal titolo “Noi che siamo passati dalla Libia”, scritto dalla professoressa Mari D’Agostino, docente di linguistica italiana all’Università di Palermo e direttrice della Scuola di lingua italiana per stranieri (ItaStra). I giovani protagonisti di queste pagine sono da poco arrivati in Italia. Hanno attraverato la rotta centrale africana, la Libia e il mare Mediterraneo. Hanno percorso a piedi, in bicicletta, in bus, in pickup le strade africane. Si sono mossi dentro l’universo della diversità linguistica con il piglio sicuro di chi non ne ha paura e sa usarne interamente le risorse. Il loro viaggio ha comportato la permanenza, per mesi o anni, in quell’inferno che è la Libia attuale. Anche in condizioni estreme, come quelle dei luoghi di raccolta per migranti o delle carceri, la loro facilità di acquisizione spontanea di una nuova lingua si è rivelata di grande aiuto.
Nel libro della professoressa Mari D’Agostino il rapporto tra migrazioni e lingue
L’intero volume è attraversato dalle loro voci ascoltate in interazioni spontanee, interviste individuali o di gruppo, durante laboratori di narrazione. Le loro parole e i loro racconti, insieme ai dati quantitativi della ricerca, restituiscono un universo composito. La sua comprensione è utile non solo a chi è interessato al rapporto fra migrazioni e lingue, ma anche docenti, volontari, professionisti e operatori dell’accoglienza che quelle voci, spesso, stentano a decifrare.
«Questo libro nasce dal quotidiano della Scuola di italiano per stranieri: è frutto di 50 interviste in profondità e di 500 quesitonari – spiega la professoressa D’Agostino -. Si tratta di un libro sulle lingue, sulla forza delle lingue, sulle parole come stanno cambiando e sulle parole della Libia. Parte dai punti di forza dei ragazzi, non da quello che manca ma da quello che hanno. Un libro ‘militante’ che nasce dalla ricerca e dall’azione, che punta a mettere in circolo qualche riflessione sulla forza di questi giovani, delle lingue e del multilinguismo di questi ragazzi. La mia speranza è che possa modificare luoghi comuni e idee preconcette».