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L’eredità di don Pino Puglisi: l’impegno del Centro Padre Nostro a Brancaccio 30 anni dopo il martirio

Il presidente, Maurizio Artale: "Oggi, abbiamo tante strutture che non solo sono a servizio di Brancaccio ma di tutta la città. Aiutiamo 600 persone". A breve l'apertura di un coworking e di uno sportello per le necessità quotidiane dei più poveri

Serena Termini
Serena Termini
È nata il 5 marzo del’73 e ha tre figli. Dal 2005 è stata la corrispondente dell'agenzia di stampa nazionale Redattore Sociale con cui oggi collabora. Da sempre, ha avuto la passione per la lettura e la scrittura. Ha compiuto studi giuridici e sociologici che hanno affinato la sua competenza sociale, facendole scegliere di diventare una giornalista. Ciò che preferisce della sua professione è la possibilità di ascoltare la gente andando al di là delle prime apparenze: "fare giornalismo può diventare un esercizio di libertà solo se ti permettono di farlo".
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PALERMO – Con coraggio e determinazione, così come avrebbe desiderato p. Pino Puglisi, si cerca ogni giorno di dare un volto nuovo a Brancaccio rispondendo ai tanti bisogni di giovani e famiglie. A raccontare l’impegno di questi anni è il presidente del Centro Padre Nostro, Maurizio Artale.

Rispetto a trent’anni fa, cosa è cambiato a Brancaccio?

I passi avanti che sono stati fatti in tutto questo tempo sono stati tantissimi. L’opera di p. Puglisi, attraverso il nostro impegno, è davvero cresciuta molto. Tutto questo perché abbiamo puntato, oltre che allo sviluppo della comunità di p. Puglisi, anche alla concreta riqualificazione territoriale. Oggi, abbiamo tante strutture che non solo sono a servizio di Brancaccio ma di tutta la città. Per esempio, il Centro polivalente sportivo nasce su un terreno molto ampio che ci è stato donato da persone che avevano già visto concretamente cosa eravamo stati in grado di fare con la ristrutturazione di un caseggiato per donne vittime di violenza. La stessa cosa vale per quando ci hanno donato l’antico mulino dove è nato il Centro antiviolenza.

Quante persone, tra bambini, giovani, famiglie, detenuti in esecuzione di pena, ex detenuti, donne vittime di violenza, persone anziane e persone senza dimora aiutate?

A vario livello, aiutiamo oltre 600 persone. Tra queste, abbiamo pure 7 ex persone detenute che, entrate come persone in esecuzione di pena, dopo un percorso meritevole e proficuo avvenuto dentro il Centro, oggi sono state assunte con specifiche mansioni lavorative. L’attenzione alle persone detenute rientrava nella mission di p. Puglisi. Si tratta, in molti casi, di persone che vivono particolari stati di emarginazione sociale; alcune sono pure sole e senza dimora. Ci piacerebbe che, in collaborazione con l’arcidiocesi, in futuro, ognuna delle 220 parrocchie potesse prendersi il carico e la cura di almeno una persona detenuta. Se questo avvenisse già sarebbe una grande cosa.

Il presidente del Centro Padre Nostro, Maurizio Artale

Che cosa significa oggi portare avanti la memoria di padre Pino Puglisi?

Al di là di incontri e meeting di tutti i tipi, occorre passare dalle parole ai fatti che dimostrano come, ogni giorno, con sacrificio, dedizione e impegno si possono dare risposte ai tanti bisogni concreti. Certamente, occorre lottare continuamente, anche se a volte, ci si può stancare perché, in molti casi, le istituzioni non rispondono come dovrebbero fare. Per esempio, nonostante le tante denunce di questi anni, la piazzetta del beato Pino Puglisi è per adesso al buio per un ennesimo atto vandalico. Aspettiamo che il comune intervenga. Non basta certo intitolare il festino di Santa Rosalia a Biagio Conte e a p. Puglisi se poi non si danno con continuità altre risposte alla nostra città.

Un’altra situazione ferma è quella dell’Auditorium Giuseppe Di Matteo.

Abbiamo consegnato le chiavi dell’Auditorium due anni fa e, ad oggi, è ancora chiuso. Purtroppo è abbandonato e in una situazione di forte degrado. Abbiamo proposto al presidente della circoscrizione di farselo consegnare in modo da rimetterlo a nuovo anche con la nostra collaborazione. Noi abbiamo deciso di sospendere le nostre attività dopo che, per un grave errore di metri quadrati, ci erano arrivati da pagare 50 mila euro di Tari non dovuta. È incredibile che gli uffici comunali competenti non siano ancora intervenuti per sanare l’errore. Era un luogo aperto a tutti in cui facevamo tantissime iniziative sociali e culturali e, tra queste, teatro per detenuti, anziani e famiglie.

Qual è oggi la sfida a partire dai giovani?

Non possiamo permetterci da laici impegnati, da cittadini responsabili e da chiesa di rimanere, ancora dopo trent’anni, nelle fasce grigie. Bisogna andare avanti con coraggio nella risoluzione dei diversi problemi della nostra città. Cominciamo a fare un lavoro capillare con le famiglie e con le altre realtà educative. Il 22 settembre inaugureremo l’antica Torre Pollaccia del 1650 dove nascerà un centro coworking aggregativo per i giovani. Vorremmo che diventasse un luogo di confronto partecipativo e attivo. I giovani vanno affiancati ed aiutati nel loro impegno fatto di rispetto delle regole e voglia di essere propositivi. In città continuano ad esserci pochissimi centri aggregativi per i giovani. Quando li incontri i giovani, capiscono subito se sei solo una persona che chiacchiera oppure gli offri modelli da seguire fatti di azioni concrete.    

Per le famiglie, alcune delle quali in stato di povertà come vi adoperate  per evitare che entrino in circuiti criminali di vario livello?

Il primo aiuto che forniamo da tempo è naturalmente di rispondere ai bisogni primari. Certamente, crediamo che si debbano creare anche delle opportunità formative e di lavoro che possano farli uscire dalle logiche strettamente assistenziali, accompagnandoli concretamente all’autonomia. Se verifichiamo impegno e rispetto delle regole, riusciamo a trovare a volte delle piccole occupazioni, significative per il loro progetto di vita.

Quali iniziative realizzerete?

Tramite il bando dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, a novembre, apriremo in due locali lo sportello di servizio “Pane quotidiano” in cui supporteremo le famiglie che non hanno reddito o in una situazione di disagio economico che non riescono ad arrivare a fine mese. Partiamo dal sostegno con i beni alimentari per poi capire se hanno bisogno di farmaci o di altre risposte per altri problemi. 

Che cosa significa allora fare oggi memoria ?

Fare memoria significa cercare di concretizzare, nel migliore dei modi, tutto quello in cui ha creduto p. Puglisi fine alla morte per opera della mafia. Bisogna, sicuramente, continuare ad indignarsi con i lenzuoli bianchi, fare cortei e proteste ma occorre, pure, dopo le parole, sporcarsi le mani adoperandosi con fatti che portino a risultati concreti. Grazie allo spirito di p. Puglisi, che ci ha sempre guidato, siamo soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato con tanto amore e sacrificio. Tutto ciò ci sprona a continuare ancora la nostra battaglia umana e sociale per i diritti di tutte le persone considerate “ultime” della nostra società.

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