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sabato, 22 Marzo 2025
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Il magistrato Di Matteo “difende” il maxiprocesso davanti agli studenti di Giurisprudenza: “Mai violati diritti”

L'iniziativa organizzata dall’associazione “ContrariaMente”. Tra i temi: il maxiprocesso dell’’86-‘87, la trattativa Stato-mafia, le stragi del ‘92-‘93, l’arresto di Matteo Messina Denaro, la riforma Cartabia appena approvata e quella annunciata dal Ministro Nordio

Giorgio Pace
Giorgio Pace
Studente della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Palermo, impegnato nel sociale. È co-fondatore di "AmUnì", un'associazione che vuole supplire all'assenza di rapporto tra gli universitari e il mondo del sociale, attraverso l'organizzazione di seminari, convegni e iniziative di volontariato. Da settembre 2020 collabora con "Il Mediterraneo 24"
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PALERMO. Sono state più di 120 le persone che il pomeriggio del 16 marzo hanno partecipato all’evento dal titolo “Tra riforme e lotta alla mafia: cosa è cambiato dal ’92 all’arresto di Messina Denaro?”. L’evento si è tenuto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo ed è stato organizzato dall’associazione “ContrariaMente”, che da 19 anni fa rappresentanza all’interno della facoltà. Ad intervenire sono stati Matteo Sbergio, presidente dell’associazione, le associate Marta Capaccioni e Jessica Diquattro, la Professoressa associata Daniela Chinnici e il magistrato Nino Di Matteo. Da moderatore, invece, ha fatto il giovane Giuseppe Iossa.

Due volti della società, due volti del diritto

Ad andare in scena sono state tre intensissime ore di dibattito, in cui si sono toccati svariati temi: il maxiprocesso dell’’86-‘87, la trattativa Stato-mafia, le stragi del ‘92-‘93, l’arresto di Matteo Messina Denaro, la riforma Cartabia appena approvata e quella annunciata dal Ministro Nordio.
L’evento ha portato nell’aula il dibattito acceso oggi più che mai nel Paese, dando voce tanto a quella parte della dottrina convinta che alcuni strumenti oggi usati nella lotta alla mafia siano eccessivi, quanto a quell’altra parte di dottrina e a quella giurisprudenza che si batte a spada tratta per difenderli. La prima posizione è stata rappresentata dalla professoressa Chinnici che, con la sua esperienza di docente, non ha esitato a esprimere le sue perplessità su istituti come quelli del maxiprocesso e dell’ergastolo ostativo. Dall’altra parte Di Matteo, che ha posto l’accento sulla necessità di strumenti particolari nella lotta alla mafia, costati la vita anche a suoi colleghi e a componenti delle forze dell’ordine. La bontà di questi strumenti, secondo Di Matteo, sarebbe testimoniata anche dal fatto che sono stati oggetto della trattativa tra lo Stato e la mafia, in quanto fortemente temuti da questa: “I mafiosi 10, 20 anni di detenzione li affrontano. In una circostanza, confermata anche in sentenze definitive, Riina diceva che bisognava evitare l’ergastolo. Lo diceva perché, insieme al 41bis, mette in difficoltà l’uomo d’onore condannato perché ne mette in difficoltà il ruolo, come invece lo mantiene quando il carcere è temporaneo e consente di mantenere i contatti con l’esterno”. Sulle riforme, Di Matteo ha tenuto a sottolineare che “si vogliono riformare la Costituzione alla quale noi invece dovremmo imparare ad obbedire veramente. Il problema non è riformare i principi costituzionali, ma applicarli”.
Mentre Chinnici citava spesso importanti autori del diritto processuale penale, Di Matteo sentenze, prevalentemente passate in giudicato. Un fatto testimonia come nel mondo del diritto ci siano queste due posizioni: chi la legge la fa e la commenta e chi si trova ad applicarla nel proprio lavoro.
Il dibattito è cresciuto quando Chinnici ha definito il maxiprocesso “un obbrobrio”. Secca la replica di Di Matteo: “Nei procesi di mafia non c’è stata mai alcuna violazione dei diritti di difesa, è inaccettabile che uno dei pilastri della lotta alla mafia quale fu il maxiprocesso sia definito un obbrobio. Un insulto alla memoria di Falcone e Borsellino, che avevano il culto delle regole dello stato di diritto“.

Il dialogo con gli studenti

Centro vero e proprio dell’evento, però, è stato il dialogo che si è creato con gli studenti e le studentesse: questi, infatti, non hanno fatto mancare le proprie domande e riflessioni. Queste ultime sono state, talvolta, anche scomode, specie quando hanno tirato in ballo i rapporti tra la mafia e alcuni politici tutt’ora in attività. Per Di Matteo “la mafia siciliana è riuscita ad esercitare un ruolo di primo piano perché ha da sempre nel suo Dna la capacità di tessere i rapporti con il potere”.
Infatti, il magistrato invita a non sottovalutare il fatto che “c’è la mafia ma c’è anche un humus nel quale la mafia prospera, quella della logica mafiosa, dell’appartenenza a gruppi dai quali poter ottenere vantaggi
”.
Il risultato è stato un dibattito ricco di contenuti umani e accademici eccezionali. La speranza dei relatori e degli organizzatori dell’evento è che iniziative come questa possano costituire l’alimento o, comunque, il punto di partenza per l’impegno dei giovani nella lotta alla mafia. Ma è stata anche un’occasione importante per insegnare agli studenti una modalità di informazione e di formazione, fatta non di arroccamenti nelle proprie posizioni, bensì di confronto costante con l’opinione diversa dalla propria che spesso, nonostante la difformità, suggerisce comunque degli spunti di riflessione.
In chiusura l’ex CSM ci ha tenuto anche a dare alcune linee direttive agli studenti aspiranti magistrati: “Il magistrato che svolge bene il suo ruolo lo svolge a tutela degli emarginati, dei più deboli. A chi vorrà fare il magistrato un giorno auguro di conservare questa indipendenza e imparzialità perché altrimenti è un lavoro insopportabile. Se non lo si concepisce come servizio alla società diventa un lavoro insopportabile. Se sai che fai quella cosa perché stai difendendo un principio o i più deboli e ti poni in un’ottica di servizio allora qualsiasi peso può essere sopportato”. Al termine della giornata, Di Matteo si è soffermato a parlare in modo più informale con gli studenti, raccontando alcuni aneddoti inediti della sua vita personale ed universitaria. Tutti elementi che rendono meravigliosamente umane e vicine ai giovani figure che spesso tendono a venire poste dall’opinione pubblica su piedistalli inaccessibili.

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