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giovedì, 24 Aprile 2025
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Partinico, nel bene confiscato una “foresta da mangiare”

In tutte le fasi della filiera produttiva (dalla lavorazione nei campi alla trasformazione della materia prima, alla vendita) saranno, infatti, coinvolte persone svantaggiate

PARTINICO. Alcune piante producono cibo, altre arricchiscono la biodiversità necessaria a mantenere in equilibrio l’ambiente. È nata così la prima Comunità del cambiamento di Slow Food e si trova a Partinico, in provincia di Palermo. Un modello di agricoltura che pone al centro anche l’aspetto sociale. Protagonisti del progetto, infatti, sono anche persone con svantaggio fisico e psichico. A realizzarlo, sono la cooperativa sociale NoE (No Emarginazione), con sede a Partinico, e la cooperativa agricola Valdibella, attiva nella vicina Camporeale.

Come nasce il progetto della Comunità del cambiamento

Nel 1998 NoE, che si occupa di inclusione sociale e lavorativa di persone con disabilità, riceve in affidamento un fondo proveniente dalla confisca alla mafia, poco più di cinque ettari. Con la coop Valdibella ha cominciato a ragionare su come rilanciare questa vasta area agricola. Il suggerimento è arrivato dall’ecologo brasiliano Rafael da Silveira Bueno: creare una food forest, “una produzione agricola etica e sostenibile”, racconta il presidente di Valdibella, Massimiliano Solano, a SuperAbile Inail. “Il sostegno economico di Slow Food e i soldi ottenuti con una campagna di raccolta fondi ci hanno consentito di lanciarci a capofitto nel progetto, che ci ha subito entusiasmato”.

Non solo agricoltura: il valore sociale del progetto

Il valore sociale incide con forza sulla Comunità del cambiamento. In tutte le fasi della filiera produttiva (dalla lavorazione nei campi alla trasformazione della materia prima, alla vendita) saranno, infatti, coinvolte persone svantaggiate. La cooperativa NoE, infatti, su 18 dipendenti, conta 12 persone con disagio fisico, psichico o economico, a cui si aggiungono diversi collaboratori occasionali. Alcune con disabilità neuropsichica, alcool-dipendenza, ritiro sociale, altre con disoccupazione di lunga durata. Simone Cavazzoli, presidente di NoE, sottolinea che “i lavoratori sono coinvolti in mansioni strategiche nell’ambito della coltivazione, della logistica, del trasporto, della vendita, della manutenzione e anche della formazione, una volta completato l’apprendistato”.

Tra i lavoratori nel bene confiscato

Tra le persone che lavorano al progetto, nel bene confiscato, c’è Antonino Conti, 55 anni. Si occupa della programmazione agricola e della commercializzazione dei prodotti. Da due anni alla NoE, con un passato in Tanzania, nell’ambito di progetti agricoli per conto di una ong internazionale. Una brutta infezione a una gamba contratta nel continente africano e non identificata gli ha provocato difficoltà di movimento, e un infarto, tre anni fa, ha causato una serie di problemi che gli impediscono di svolgere determinate attività. Nella sua strategia di gestione, il criterio base è uno: ridurre al minimo l’impatto ambientale. Infatti, “non si farà uso di concimi e si utilizzerà poca acqua”. “Il non utilizzo di macchine agricole, inoltre, permetterà di abbattere del 70% l’anidride carbonica”. Infine, il recupero delle tradizioni. Tra le piante alimurgiche, cioè commestibili, previsto anche la presenza di quelle antiche, come il pero cannamela, l’albicocco sciccareddu e il nespolo di Trabia. Ma non ci saranno solo prodotti tipici locali. Oltre agli avocado, sono state inserite anche 70 piante di frutti della passione. “Ho riportato qui un pezzettino di Africa, dove purtroppo non potrò più tornare”, dice Ninni a SuperAbile, come lo chiamano tutti. “È come riassaporare i gusti e i profumi di una terra che porto sempre nel cuore”. Entro quest’anno sarà completata la messa a dimora delle piante.

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