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giovedì, 20 Marzo 2025
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L’insegnante di sostegno: questo sconosciuto. Un ruolo dai confini incerti ancora oggi

A farne racconto, al momento, due insegnanti, che hanno declinato le loro competenze per rendere possibile ad ogni alunno di esserci a proprio modo, con le proprie esigenze speciali

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PALERMO. Sono un’insegnante di sostegno e da anni lavoro con i bambini della scuola primaria, anche se in realtà come dico sempre, per me non è un lavoro, faccio quello che mi rende felice e fiera di me. Trascorro ore meravigliose con i miei  alunni; ore preziose nel corso delle quali sono loro ad insegnarmi tanto.

Quando studiavo all’università non pensavo che tutto questo mi avrebbe appassionato, soprattutto il ruolo d’insegnante di sostegno che ricopro da dieci anni ma, col tempo ho capito che questa era la mia strada. A dir la verità non sempre è stato facile e nella maggior parte dei casi mi sono dovuta mettere in gioco in prima persona per poter essere in grado di aiutare i bambini. Tuttavia, sono felice di svolgere questo compito, in quanto mi permette giorno dopo giorno di crescere come persona e di conseguenza, di poter far crescere i miei alunni.

Ma in questo momento non voglio parlare di me, voglio dare voce a tutti i bambini che in questi anni ho incontrato, i quali spesso hanno “subito” la didattica della classe. Di certo, se avessero avuto modo di replicare avrebbero sicuramente chiesto altro per loro perché, diciamolo chiaramente una buona volta, non è solo la didattica, ma tutto ciò che li circonda a partire dal setting scolastico e dalle aule che, spesso, non sono abbastanza attrezzate per accogliere i bisogni dei bambini. Certo, e senza dimenticarlo, agire con affettuosa intelligenza riesce a rendere anche la cosa più banale come la più importante, anche in contesti non sempre adeguati.

Naturalmente, penso non ci sia bisogno di ribadirlo, ma lo faccio per quelle poche persone che non sappiano ancora cosa significa essere un insegnante di sostegno: il mio ruolo non è quello di “aiutare” solo il bambino con particolare difficoltà certificata, ma insieme agli insegnanti di classe, di educare tutti i nostri alunni perché tutti sono speciali, tutti attraversano momenti di difficoltà, tutti hanno bisogno in egual modo del nostro supporto. Quindi, tutti  dobbiamo svolgere al meglio il nostro compito.

Vitalba Aluzzo

Durante la mia esperienza di insegnamento come docente di sostegno nella scuola primaria ho avuto modo di conoscere diversi bambini affetti da differenti disturbi e patologie. Sono entrata a far parte delle loro vite imparando tanto.

Ho cercato sempre di comprendere ciò di cui avessero più di bisogno per aiutarli nel loro vivere quotidiano; non è stato sempre facile. A volte ho incontrato genitori che facevano fatica ad accettare un figlio con una grave disabilità; questa difficoltà si traduceva spesso in un ostacolo alla condivisione di un progetto di vita realizzabile e al coinvolgimento nelle attività didattiche della scuola. Altre volte le famiglie allargate in cui i bambini si trovavano inseriti non riuscivano a farsi carico di tutte le esigenze e di tutti i bisogni necessari per una crescita educativa e sociale della persona.

Mi sono posta sempre come mediatore attivo per assicurare la partecipazione e l’inclusione di tutti gli alunni sperimentando come le competenze relazionali siano fondamentali per instaurare un patto di fiducia tra tutte le figure che ruotano attorno alla persona con disabilità. Ho sempre ritenuto essenziale che l’insegnante debba “prendersi cura” della persona affidategli. Prendersi cura dell’altro significa “mettersi in ascolto” relazionandosi in maniera efficace, scegliere di ricevere il sentire dell’altro e tentare di sentire con esso, assumersi la responsabilità di stargli accanto, di comprendere quello di cui ha realmente bisogno. Ciò ha comportato la necessità di confrontarmi continuamente con la realtà familiare, spesso complessa, della persona con disabilità per supportarla nei momenti di sconforto infondendo fiducia e coraggio nel credere in una possibilità di progressivo miglioramento.

Ciò di cui mi rammarico è che molto spesso la scuola venga considerata come l’unica sede in cui poter discutere e “risolvere” i problemi educativi e didattici. Mancano strumenti utili che possano realmente aiutare i bambini a concretizzare il loro processo di crescita. Mi riferisco, ad esempio, ad aule strutturate in modo da attivare ambienti di apprendimento che favoriscano una effettiva inclusione.

Troppe volte, purtroppo, gli insegnanti di sostegno operano in ambienti ostici in cui è difficile portare avanti ciò che per loro è principalmente una missione. Far comprendere che ogni punto di vista,  e quindi anche quello di un bambino disabile, sia essenziale per la formazione e lo sviluppo di una persona non è semplice. Solo chi è dotato di una forte sensibilità può riuscire ad entrare nel meraviglioso mondo di questi bambini che chiedono come tutti di essere amati, accolti, ascoltati e di poter dare voce al loro sentire divenendo anche loro artefici del proprio futuro. 
Rosita Di Noto

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