di Federica Picone
PALERMO
È stata salutata dagli applausi degli studenti dell’istituto professionale alberghiero “Pietro Piazza” di Palermo la panchina rossa in memoria di Lia Pipitone, giovane donna uccisa dal padre mafioso, il 23 settembre 1983, perché ha scelto la libertà alle regole mafiose. Il suo ricordo è stata l’occasione per gli studenti di riflettere approfonditamente sul problema della violenza di genere, grazie all’intervento di Alessio Cordaro, figlio di Lia, e Paola Mirto, coordinatrice del centro antiviolenza Lia Pipitone dell’associazione Millecolori Onlus.
A raccontare Lia Pipitone è il figlio, Alessio Cordaro, anche se l’ha persa all’età di quattro anni, quando ancora per lui le ragioni della sua morte erano un mistero: ha avuto modo di conoscerla bene negli anni, scavando nel suo passato e quello della sua famiglia, ricostruendo la persona che era presentandola al mondo; ha così trasformato quel dolore in voglia di rivalsa, la stessa che contraddistingueva sua madre, un attivista sin da quando andava a scuola: lei era presente ad ogni possibile evento relativo all’uguaglianza, in anni in cui era difficile parlarne, non solo partecipava ma li organizzava, rendeva vivo il suo quartiere organizzare punti di incontro, ritrovi, esperienze; la sua presenza si faceva notare e andava in totale contrasto con le regole della famiglia mafiosa, che pretendeva da lei silenzio e ubbidienza. Alessio adesso segue le sue orme, presentando sua madre ad ogni manifestazione atto a propagandare finalità di giustizia ed eguaglianza.
“Mia madre – dichiara Alessio – è diventata un modello per via della sua prematura scomparsa, però l’idea che oggi parlare di lei possa essere uno stimolo a lottare contro qualunque forma di violenza mi stimola a continuare ad andare avanti e mi rende orgoglioso di quello che oggi è la memoria di mamma nel collettivo comune”
Infatti, prende il suo nome il Centro Antiviolenza fondato dall’associazione Millecolori Onlus che si pone come missione il ridare la libertà alle donne vittime di violenza, mettendo a disposizione uno spazio fisico di ascolto in cui le donne possano acquisire consapevolezza della situazione che vivono, e quindi iniziare un percorso per la fuoriuscita dalla violenza e l’inizio di una vita libera
“La necessità di una prevenzione – Spiega Paola Mirto agli studenti – nasce dal fatto anche che dentro una casa in cui si respira violenza non solo la donna rimane schiacciata e non riesce ad emergere da questa situazione, ma i suoi figli introiettano un modello che tenderanno a ripetere. La scuola ha l’opportunità di fornire un modello altro rispetto alla famiglia, di allargare i vostri orizzonti e farvi vedere altro rispetto a quello che potete vedere dentro casa.”
La scuola deve farsi carico di plasmare delle menti che possano scardinare la mentalità imperante e lo strumento fondamentale perché questo avvenga è il rispetto dell’altro: solo riconoscendo nell’altra persona un’identità con bisogni e desideri. Il professore Giovanni Mannara evidenzia quel che deve essere il ruolo del singolo insegnante, partendo dalla definizione: “da “insignum”, lasciare un segno, deve dare agli studenti e alle studentesse la possibilità di diventare agenti operanti nel territorio per incidere su quella che è la mentalità comune.”
Il tema dell’incontro ha catturato l’attenzione dei ragazzi e ha stimolato in loro riflessioni su quanto la storia di Lia sia ancora attuale e allo stesso tempo distante da noi: Giulia D’angela trova una forte somiglianza al recente caso di Giulia Cecchettin; ma allo stesso tempo Napoli Sabrina si rende conto che non tutti hanno la stessa libertà, libertà che prendiamo anche troppo alla leggera; lo stesso distacco sente Manuel Requirez: riconosce la figlia di un boss mafioso e non poteva permettersi i privilegi di un giovane nel 2023.
Gaetano Enea è stato più toccato dal concetto di violenza: “Questo evento ci porta a riflettere non solo sulla violenza fisica ma anche su quella verbale: crea dei disagi e traumi psicologici alla donna che ritengo siano molto più gravi rispetto a quelli fisici, in quanto la costringono a rassegnarsi e accettare i limiti posti dall’uomo, limiti che non devono esistere perché non fondati su nessuna legge. Questo evento serve a fortificare la donna e rendere partecipi gli uomini che la donna non è un oggetto, ma un simbolo di vita.”
L’incontro si è concluso con l’inaugurazione della panchina, in precedenza abbandonata e arrugginita, adesso rinnovata e resa simbolo dell’incontro e del dialogo che accresce la persona, ma anche, come ribadisce la professoressa Maria Teresa Giardina: “un monito che porti a riflettere su questo importante tema, la violenza, in qualsiasi forma e sfaccettatura: non è solo l’omicidio della donna, ma anche il sopruso, la sopraffazione, la costrizione, l’offesa, la denigrazione, la mortificazione.”
A chiudere l’evento l’auspicio di Alessio Cordaro: “mi auguro che la conoscenza della storia di mamma, del vissuto e di quello che ha trascorso sia uno stimolo in più per reagire, perché tendenzialmente chi commette atti di violenza è una netta minoranza e dobbiamo, ognuno di noi nel nostro piccolo con il nostro senso civico e la nostra responsabilità sociale, iniziare a dire “No”. È vero che la magistratura, le leggi, lo stato mette una pezza d’appoggio laddove succedono eventi criminosi e infelici ma il primo passo parte da noi, dal dire “No” a queste violenze.”