PALERMO – Dodici giovani, provenienti da vari Paesi del Mediterraneo, hanno raccontato dell’importanza di mettere al centro l’accoglienza delle diverse persone del mondo che soffrono e sono in difficoltà. L’incontro è avvenuto, sabato scorso, a Brancaccio dentro l’auditorium de liceo Danilo Dolci nell’ambito della tre giorni – organizzata dal Centro di Accoglienza Padre Nostro assieme alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia e alla Rete Mare Nostrum della Cei con il patrocinio della Presidenza della Regione – sul tema “Non c’è pace senza accoglienza”. Per l’occasione, è stato lanciato, in vista del Giubileo del 2025, il progetto “Prendersi cura – una famiglia per ogni comunità”, che prevede l’accompagnamento di persone migranti e famiglie in difficoltà. I giovani hanno visitato i principali luoghi dove visse ed operò il beato don Pino Puglisi. I lavori sono stati aperti dalla lectio magistralis della professoressa Patrizia Giunti (presidente della Rete Mare Nostrum) su “Mare Nostrum e cittadinanza”.
“Vivo nella piccola isola di Malta – dice Gabriel Cassar Tabone di Malta – che potrebbe fare scelte di maggiore accoglienza: il governo, infatti, ha chiuso i porti alle persone migranti che arrivano dall’Africa e dall’Oriente. L’accoglienza vera richiede tempo e avviene attraverso l’opportunità di integrazione che offri alla persona in difficoltà. Per accogliere dobbiamo trovare un linguaggio comune che non veda solo i problemi ma i valori e gli interessi comuni in cui crediamo”. “Il governo greco accoglie bene solo i turisti – racconta Marianna Vitali della Grecia – mentre è molto sospettoso e poco aperto con le persone migranti. Per questi ultimi la discriminazione si riflette sulla qualità dei servizi offerti. Nonostante questo, noi dobbiamo sforzarci di essere una società accogliente che, senza pregiudizi deve investire anche dal punto di vista culturale ed educativo”.
“Vengo da Beirut e per il mio Paese è un momento difficile in cui c’è bisogno di uscire dal silenzio – dice pure Roudy Jido del Libano -. Siamo sotto i bombardamenti e le persone perdono la vita. Il Libano ha bisogno di solidarietà e di pace. Viviamo da sempre insieme a tante popolazioni e culture diverse perchè per noi l’accoglienza delle comunità è fondamentale, Abbiamo 800mila sfollati e, fra questi, pure i siriani. Le nostre porte continueranno a rimanere aperte. Noi giovani abbiamo la possibilità di essere una forza trasformativa che, puntando all’accoglienza, spera ancora nel futuro di pace”.
“Accogliere fa parte della nostra cultura siciliana – continua Rita Saccone del centro di Accoglienza Padre Nostro che fa parte del Consiglio -. Nei confronti di chi è straniero la chiave non può essere il pregiudizio ma quello di riconoscersi, invece, nello sguardo dell’altro. È proprio nella relazione con gli altri che possiamo conoscere noi stessi. L’altro in questo modo diventa la risposta al nostro bisogno profondo di cura che è ben lontano dalla cultura dello scarto”.
Ad accompagnare i giovani c’era il vescovo Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut. “L’accoglienza rimane la parola chiave che deve caratterizzare tutta la nostra vita. Questa per essere reale pretende una purificazione interiore – ha detto il vescovo Cesar Essayan -. Viviamo ancora con troppi pregiudizi degli uni verso gli altri. Solo se ritorniamo alla umanità che abbiamo diventa più facile incontrarci per costruire qualcosa di bello tutti insieme. Il conflitto non risolve niente perchè la violenza crea altra violenza. Anche se, molto dipende ancora dalle scelte e dalla responsabilità di noi adulti, dai giovani possiamo sperare ed imparare tanto per la grandissima ricchezza umana che hanno. Radicarci nell’amore di Cristo è fondamentale per le nostre azioni e per quelle dei giovani che vogliono accogliere il grido di chi è povero e più fragile di loro”.