di Giovanni Rotolo (3°B, a settembre 4° Liceo Classico Umberto I di Palermo)
PALERMO. Lo scorso 19 luglio ricordavamo quanto accaduto esattamente trentun’anni fa nella nostra città: la strage di Via D’Amelio, che prende il nome dalla strada in cui si consumò, in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina e Agostino Catalano: uomini e una donna che hanno dato la loro vita per la lotta alla mafia.
Non tutti, però, conoscono la storia di un’altra donna coraggiosa che ha fatto di tutto per schierarsi contro Cosa Nostra: Rita Atria. Rita nacque nel 1974 a Partanna (TP) e da ragazzina perse il padre, Vito Atria, pastore vicino a Cosa Nostra, ucciso durante un agguato. Affiliato alla mafia era anche suo fratello Nicola, con cui lei legò dopo la morte del padre, che venne ucciso nel 1991: la moglie, Piera Aiello, cognata di Rita, trovò solo allora il coraggio di ribellarsi alla criminalità organizzata, denunciando gli assassini del marito e iniziando a collaborare con la Polizia.
Pochi mesi dopo, la 17enne Rita decise di intraprendere lo stesso percorso di Piera, conobbe Paolo Borsellino e strinse un forte legame d’affetto con lui: vedeva nel procuratore (Borsellino era allora procuratore di Marsala) una figura paterna, lui stesso la chiamava “picciridda” (“bambina” in siciliano). Grazie a Piera e a Rita vennero arrestati diversi mafiosi di Partanna (TP), Marsala (TP) e Sciacca (AG).
Ma il 19 luglio 1992 accadde ciò che Rita non avrebbe mai voluto vedere. Venne assassinato Paolo, il suo nuovo padre, unico punto di riferimento per una giovane ragazza nata e cresciuta in mezzo alla criminalità, all’omertà, alla corruzione. E con lui morirono altre cinque persone, i suoi agenti della scorta, gli «angeli di Borsellino». Rita non poté sopportare il dolore e una settimana dopo, il 26 luglio 1992, si suicidò a Roma, dove abitava segretamente.
Sua madre, che l’aveva ripudiata, distrusse la sua lapide. La “picciridda” era sempre stata una ragazza onesta, che aveva rinunciato alla propria famiglia e alle proprie origini per combattere l’ingiustizia. Non era una pentita di mafia: non aveva peccati di cui pentirsi; era una testimone di giustizia e oggi viene considerata la settima vittima di Via D’Amelio anche se, purtroppo, non tutti la ricordano.
Pochi giorni dopo la strage di Via D’Amelio, prima di suicidarsi, Rita lasciò le sue ultime parole, che ancora oggi devono essere lette e rilette, vanno scolpite nei nostri cuori, per ricordare il coraggio di una donna, una fra tante, che diede la vita per la giustizia: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura, ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta».