La talare da monsignore la conserva nell’armadio per i riti più importanti. Da quando è tornato a Palermo, don Giovanni Cassata sa che avrebbe dovuto sudare camicie e spalancare le orecchie. Non avrebbe forse immaginato che si sarebbe trovato ad ascoltare la confessione di un delitto efferato e che sarebbe toccato a lui indicare la via per la redenzione all’assassino: cercare di riparare al male commesso. “E non c’era altro modo, se non confessare tutto alle forze dell’ordine e permettere di ritrovare il corpo della donna scomparsa”, riferisce ai giornalisti.
Nella parrocchia di Nostra Signora della Consolazione di Palermo, se ne parla poco. In molti non lo sanno ancora. Il loro parroco a giugno ha accolto un uomo che si è accusato dell’assassinio di una donna, avvenuto cinque anni fa, di cui ha anche occultato il corpo. Un fatto che non gli ha dato pace e lo ha spinto, dopo un lungo travaglio, a cercare un prete per confessarsi. E lì c’era don Giovanni. “Un uomo capace di ascoltare, umile e riservato”, raccontano i parrocchiani, che lo hanno accolto sette anni fa. Nel suo passato, il servizio da vice rettore del seminario internazionale Giovanni Paolo II di Roma. Poi, il ritorno nella diocesi di Palermo, nella chiesa a pochi metri dai cantieri navali, in un quartiere coperto di rifiuti e scorie, una zona popolare dove il disagio sociale è profondo e per pescare le anime occorre pazienza. Don Giovanni ha accolto la sfida spalancando le orecchie. Alle parole dell’assassino, che ha riferito di “vivere in un inferno”, il sacerdote è riuscito a rispondere convincendolo a raccontare tutto ai carabinieri, compiendo un percorso di ravvedimento, di conversione, a costo di perdere la libertà personale. “Mi ero offerto di accompagnarlo, ma lui ha preferito andare da solo. Lo seguirò in questo suo percorso, non lo lascerò, gliel’ho promesso”, assicura il sacerdote.







