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martedì, 18 Marzo 2025
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Dall’Aula Bunker allo Zen: così Palermo ha ricordato le vittime della strage di Capaci

Iniziative nel luogo del maxiprocesso e alla scuola dedicata a Giovanni Falcone con studenti, docenti e rappresentanti delle istituzioni. Posa della prima pietra del museo della memoria. Nel pomeriggio, il ricordo all'Albero di via Notarbartolo e all'Aereoporto

Lilia Ricca
Lilia Ricca
Giornalista pubblicista, laureata in Comunicazione per le Culture e le Arti all'Università degli Studi di Palermo, con un master in Editoria e Produzione Musicale all'Università IULM di Milano. Si occupa di cultura, turismo e spettacoli per diverse testate online e da addetto stampa. Scrive di sociale per "Il Mediterraneo 24"
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PALERMO. Nel 31esimo anniversario della strage di Capaci, la città di Palermo si riempie di appuntamenti per ricordare le vittime del 23 maggio del ’92 e dire no alla mafia. Dall’Aula Bunker, recentemente intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gremita di studenti di tutte le età e provenienti da altre parti della Sicilia e regioni italiane, il presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, dà il via alle celebrazioni previste per questa giornata della memoria.

Gli interventi all’Aula Bunker

Dichiara così il presidente del Tribunale: “Quest’aula è il luogo della giustizia italiana. Un luogo simbolo della lotta a Cosa nostra, dove il 10 febbraio del 1986 ebbe inizio il Maxiprocesso e al cui interno oggi spiccano gli striscioni realizzati dai ragazzi con il disegno dell’iconico scatto che ritrae affiancati, i due magistrati, immagine nel tempo assurta a simbolo della lotta alla criminalità, e scritte come ‘La mafia è una montagna di merda’, ‘Libertà dall’omertà’, ‘Le loro idee camminano sulle nostre gambe, ora tocca noi’“.

E continua: “Il processo che si è celebrato in quest’aula è stato il frutto del pool antimafia, in particolare dell’impegno dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, ha ricordato Morosini davanti ai tanti giovani presenti in aula, con la partecipazione dell’ex magistrato Giuseppe Ayala e dell’ex procuratore antimafia Pietro Grasso. “Il maxiprocesso fu la grande risorsa di quella stagione giudiziaria – ha aggiunto il presidente del tribunale – un processo importante non solo per il contrasto a Cosa nostra, ma anche per la qualità e la tenuta della nostra stessa democrazia”.

Interviene dal palco davanti all’Aula Bunker, il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia: “La tentazione di ricostituire la commissione provinciale di Cosa nostra c’è sempre. La mafia ha sempre avuto un vertice. Un futuro senza mafia è certo – ha aggiunto il capo della procura che ha coordinato l’arresto di Matteo Messina Denaro – dobbiamo essere realisti, la mafia c’è e la dobbiamo combattere duramente, ma riusciremo a chiuderla definitivamente con Cosa nostra: c’è un saldo del debito che dobbiamo alle vittime ed è questo”.

Sempre dall’Aula Bunker, davanti ai tanti ragazzi, Pietro Grasso ha ricordato: “Da qui è passata la storia del Paese. Qui, dove si è celebrato, tra il 1986 e il 1987, quel processo dove Grasso era il giudice a latere e si è giocata, ricorda, una partita fondamentale per “svelare il vero volto crudele della mafia”.

“Qui – ricorda ancora l’ex giudice, che poi è stato presidente del Senatoho vissuto intensamente un momento emozionante. Il primo giorno entrai qui con un groppo alla gola: c’erano tanti imputati, molti avvocati, 500 giornalisti. Da allora la mia vita è cambiata, a partire dai rapporti con la famiglia”.

Grasso ripercorre poi le tappe del processo, i mille ostacoli che artificiosamente venivano ideati per ritardare il passo della giustizia: la richiesta di lettura in aula degli atti del processo, i gesti plateali di detenuti che si cucivano la bocca con un fil di ferro oppure simulavano attacchi epilettici. “Riuscimmo – dice Grassoa tenere il passo e a salvare il processo con scelte in linea con le leggi e con la procedura. Abbiamo fatto solo il nostro dovere”.

Rivolgendosi ai ragazzi, Grasso riconosce che in questi anni si è rafforzata la coscienza civile e il rifiuto di Cosa nostra: un percorso che passa attraverso la scuola, diventata “la vera antimafia sociale”. Grasso conclude il suo intervento ricordando Falcone che gli affidò un accendino dopo avere smesso di fumare. Era un gesto di affetto che ora Grasso ricambia tirando fuori l’accendino che alza con la fiammella accesa tra gli applausi dei ragazzi.

Presente il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, al suo arrivo all’Aula Bunker: “Sono onorato di essere qui come ministro dell’Interno in un anno anche importante della lotta alla mafia per i risultati ottenuti. Anche oggi c’è un’importante operazione che insegna che lo Stato c’è. Se la mafia ancora non è stata sconfitta, lo Stato c’è e farà tutti percorsi necessari per sconfiggerla”.

Il Museo della Legalità a Palazzo Jung

A Piazza Magione, nel quartiere dove visse parte della sua giovinezza il giudice Falcone, è stata posata la prima pietra del Museo della Legalità dedicato a tutte le vittime di mafia, che verrà realizzato all’interno di Palazzo Jung.

Dichiara così la sorella del magistrato ucciso dalla mafia, Maria Falcone:Oggi è la posa della prima pietra del museo che verrà realizzato in questo antico palazzo, nel rione dove mio fratello è nato. Mi commuove guardare oltre la siepe e vedere che lì dietro c’era la palestra dove Giovanni andava a fare ginnastica. Era il mio quartiere, a due passi c’era la nostra casa in via Castrofilippo”. Presenti, tra gli altri, il ministro dell’Interno Piantedosi, il presidente della Regione Renato Schifani, il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno e il sindaco di Palermo Roberto Lagalla.

Maria Falcone ha poi illustrato gli obiettivi del progetto. “Vogliamo creare un museo che non parli solo di morte, sangue e dolore, ma che faccia capire. Un pò come gli eroi del nostro risorgimento italiano che rappresentavano lo spirito, la forza, l’animo di volere un’Italia indipendente. Ora devono essere i giovani a salvare la nostra costituzione portando avanti i suoi principi, così che la Sicilia diventi una terra diversa. Non sarà solo memoria di dolore, ma voglia di cambiamento. E dobbiamo far sì che i nostri giovani venendo a Palermo, creando sedi anche a Roma e Bolzano, abbiano la possibilità di confrontarsi con giovani di altre città. Per fare l’Italia unita bisogna far dialogare i giovani”.

Il 23 maggio nella scuola dello Zen dedicata a Falcone

Nell’istituto comprensivo dello Zen, intitolato al magistrato ucciso dalla mafia, si sono riuniti studenti, docenti, associazioni e rappresentanti delle istituzioni. Il dirigente scolastico, Domenico Di Fatta, la considera: “Una giornata molto importante per il rilancio della scuola che come sappiamo era stata colpita dalla notizia traumatica dell’arresto della dirigente scolastica. Ho trovato un pò inizialmente i docenti quasi sotto choc, per cui era importante ripartire. Questa giornata sicuramente è stata una svolta. Da oggi si ricomincia. Mi dicono che ultimamente la scuola era stata troppo chiusa su sè stessa ed erano stati interrotti completamente i rapporti col quartiere. Molti esponenti delle associazioni mi hanno detto di essere ritornati oggi dopo tanti anni all’interno della scuola. La presenza delle associazioni, delle Istituzioni, la società civile, e i genitori, è sicuramente molto importante“.

Il 23 maggio 2023 all’ICS Giovanni Falcone, Zen, Palermo

Dichiara così l’assessore alle Attività Sociali del Comune di Palermo, Rosalia Pennino, durante la mattinata allo Zen: “Rimettere in piedi una rete inter istituzionale che rimettesse in dialogo e a sistema le realtà di presidio territoriale del quartiere insieme al mondo dell’associazionismo, la parrocchia e le Forze dell’Ordine. Riunioni che si svolgeranno, non ultima il prossimo 31 maggio, che stanno mettendo a sistema le risorse che l’amministrazione ha individuato per un piano organico dello Zen che veda da un lato, la riqualificazione degli spazi, dall’altro la partenza di attività, ma al centro, il ritorno dei servizi di presidio territoriale all’interno del quartiere”.

E continua: “Io sono nata e cresciuta allo Zen. Tutta la mia vita l’ho passata in questo quartiere. Le scuole le ho frequentate qui. La fotografia che oggi, da assessore, da una lettura diversa, mi si presenta, è quella di uno stato di abbandono generale e complessivo. Di un’assenza di dialogo, di una mancanza di ordine, di necessità e desiderio di ripartire. Ci sono cose che nel tempo erano state realizzate grazie all’impegno e alla passione di tanti, che oggi vedo in totale stato di abbandono. Da quello dobbiamo ripartire per restituire speranza, fiducia e presenza istituzionale”.

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